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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
L'ECLISSI DELLA BONTÀ
[La Repubblica, 23 dicembre 2007]

ALLA VIGILIA del Santo Natale dobbiamo denunciare la scomparsa di un ospite atteso, soprattutto in questi giorni. La Bontà. Da anni, ormai, le sue visite erano divenute saltuarie. Sporadiche. Ma quest'anno non l'abbiamo proprio vista. Forse si è nascosta. Inibita da qualche cartello, che, alle porte della città, la invitava a girare al largo. Su Google, nonostante la stagione propizia, digitando "bontà", la ricerca propone 1.200.000 risultati (link). Poco più di "egoismo". Mentre la parola "inganno" ne restituisce 100.000 in più. Essere o apparire "buoni", d'altronde, non è più considerato un fattore di successo. Ammesso che lo sia mai stato. Oggi, semmai, è un segno di debolezza. In politica, al governo, nell'amministrazione e nella società.
Prodi: ha dovuto contraddire il suo aspetto pacifico e morbido. E se non gli riesce di sembrare cattivo, oggi, almeno, tutti gli riconoscono il merito della "caparbietà". Della testardaggine. Deciso a resistere resistere e resistere. A ogni costo. Veltroni. Ha rinnegato l'invenzione del "buonismo". Dottrina, linguaggio e, al tempo stesso, fisiognomica. Oggi, Walter Veltroni prosegue nella via del "dialogo", che riconosce l'esistenza e la legittimità dell'altro - avversario e non più nemico. Ma è ben deciso a decidere. A spingere il Pd oltre l'Unione. Oltre la mediazione. Perché, in politica e nella vita, oggi non si è credibili senza fare i "duri".
Come Gianfranco Fini. Agevolato dalla biografia politica personale. Oggi è in "guerra": non solo con gli avversari, ma anche con gli alleati. Sopra tutti: Silvio Berlusconi. Il Cavaliere. L'eterno sorriso dell'uomo a cui piace piacere. Protagonista del romanzo popolare della Seconda Repubblica. Una fiction trasmessa senza soluzione di continuità e a reti unificate. Da qualche tempo si sposta da una piazza all'altra agghindato come un esistenzialista degli anni Cinquanta. Un personaggio di Beckett. O, meglio, un rivoluzionario, come l'ha definito, con affetto e ironia, il fedele Confalonieri: "Le immagini di piazza San Babila stracolma di gente che lo circonda, e lui che sale sul predellino dell'auto per salutare, mi ricordano l'arrivo di Lenin in Russia a bordo del treno piombato".
Ma più dei politici nazionali, di governo e di opposizione, a stigmatizzare la "bontà" - come un vizio più che una virtù - sono i sindaci. Definiti, talora, "sceriffi". Formula coniata, anni fa, da Giancarlo Gentilini, sindaco di Treviso per dieci anni (e oggi "sindaco aggiunto"). Nemico giurato di mendicanti, zingari e immigrati. Al cui indirizzo ha lanciato iniziative e invettive dal forte impatto simbolico. Anche se, nei fatti, ha fatto molte cose "buone" (guai a dirglielo, però; la prenderebbe come un'offesa), visto che il grado di integrazione della sua città, certificato dalla Caritas (meritoria organizzazione dal nome fuori moda), è tra i più elevati d'Italia.
Il suo esempio, però, è stato seguito dai sindaci di altre città. Di destra e di sinistra. Da Verona a Bologna, passando per Cittadella e Firenze. Perfino a Roma. Tutti impegnati ad assumere iniziative "emblematiche" contro accattoni, lavavetri, rom, romeni, immigrati-con-meno-di-500-euro-di-reddito-al-mese. I sindaci, d'altronde, più delle altre autorità pubbliche, sono incalzati ogni giorno dalle pressioni dirette ed esplicite dei cittadini. Tuttavia, alcune loro scelte (le più clamorose), più che alla soluzione del problema, sembrano finalizzate a "rassicurare". Esibendo la "tolleranza zero". Insomma: meglio sceriffi che missionari.
L'eclissi della bontà, d'altronde, oggi si riflette in tutte le parole della stessa "famiglia" semantica. Lo dimostra l'impopolarità delle formule che evocano dialogo, mediazione, condivisione. Per esempio: la "concertazione". Per non parlare della "cooperazione". Offuscata da dispute che intrecciano politica e finanza. Per la stessa ragione, è cambiato perfino il significato della "sicurezza". Fino a vent'anni fa era, per definizione, "sociale". E riguardava la salute, la previdenza, il lavoro. Il futuro delle persone e delle famiglie. Oggi, invece, (come mostra una recente ricerca di Demos per la Fondazione UniPolis, ottobre 2007) evoca, per riflesso pavloviano, paura dell'altro. La criminalità comune, ma anche gli immigrati. Le minacce all'incolumità e al domicilio personale. Di conseguenza, alimenta la richiesta di militarizzare il territorio. Di sindaci sceriffi. Appunto.
La bontà si è eclissata anche nelle relazioni di vita quotidiana. D'altronde, 7 persone su 10, in Italia, ritengono che "gli altri, se ne avessero l'occasione, approfitterebbero della mia buona fede" (Demos, novembre 2007). Per questo, anche se si è buoni, conviene dissimularsi. Non rivelarsi come tali. Ma dimostrarsi ostici, spigolosi, furbi. Quantomeno a fini preventivi.
Il linguaggio "pubblico" si è evoluto (si fa per dire...) di conseguenza. Il turpiloquio non è più tale da tempo. Non per caso, la manifestazione, forse, più clamorosa contro la classe politica è stata promossa da Beppe Grillo al grido "Vaffa...". D'altronde, la rissa e l'aggressione (non solo) verbale fanno parte del repertorio di ogni programma tivù, in onda su ogni rete, a qualsiasi ora.
La bontà, invece, è neutralizzata nello "spettacolo". Disciolta nelle diverse varianti del format di Telethon (iniziativa, in sé, meritoria), che scivola da una trasmissione all'altra, da una rete all'altra. Così vediamo le stesse figure che, fino al giorno (e a un'ora) prima, si occupavano dei delitti più efferati e morbosi del momento, cambiare improvvisamente personaggio. Indossare una sciarpa, un nastro, un distintivo. Raccogliere fondi per una "buona" causa. Per tornare, subito dopo, allo stile e al linguaggio di sempre. Così lo stimolo sociale della bontà viene risvegliato, ma a distanza. Ciascuno reagisce individualmente, da solo. Un sms e via. Lo spettacolo continua.
Naturalmente, la "bontà" non è scomparsa. Anzi si sviluppa. È un bisogno biologico. Una pratica diffusa, che si traduce in mille attività solidali e volontarie. Cui partecipa una quota estesa, e crescente, di popolazione. In modo nascosto. Io buono? Per carità! Buono sarà lei!
Tuttavia, la pretesa contraria resta, appunto, una pretesa. L'ascesa di una classe politica inflessibile e muscolare è una leggenda. Un artifizio retorico. In questo Paese dove i governi non riescono a decidere. Prima Berlusconi, abile a deliberare soprattutto sulle questioni che lo riguardavano direttamente. Oggi Prodi, in difficoltà nel contrastare la sfida di categorie professionali piccole ma agguerrite: camionisti, tassisti, controllori di volo. Mentre i sindaci dichiarano guerre che poi non combattono. (Perché non ne hanno i mezzi). Contro pericoli il cui peso emotivo è molto superiore a quello reale. I furti in appartamento, ad esempio, percepiti come una minaccia concreta dal 23% degli italiani (Demos per UniPolis). Mentre l'effettiva incidenza del reato è lo 0,2%.
Insomma, la "cattiveria", più che un volto, è una maschera. Così si spiega il bagno di folla riservato a Sarkozy, a Roma. Lui sì capace di decidere, anche a costo di scatenare conflitti e fratture sociali. In aperto contrasto con tutti. Lavoratori dei trasporti, studenti, operai, bande delle banlieues e intellettuali "da caffè". Senza arretrare. Incrociando, semmai, la spada e il glamour: gli scioperi, Cecilia e Carla Bruni.
In Italia, invece, la fermezza appare, principalmente, uno stile esibito in pubblico. Cui non corrispondono comportamenti coerenti. L'eclissi della bontà, per questo, non è il prodotto di un diverso e opposto codice etico. Né, tanto meno, di un diverso e opposto modello di azione. È, invece, la maschera di un Paese impotente e indeciso. Un Paese in penombra, dove non si intravedono valori e uomini "forti". E, se anche emergessero, sarebbe difficile riconoscerli. Perché il Bambino, se oggi nascesse in Italia, non troverebbe ad attenderlo i tre re Magi. Ma Vespa, Mentana e Cucuzza. La vita in diretta. L'eterno presente. Dove non c'è spazio per la "buona" novella. Ma neppure per quella cattiva.
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