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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL PENTALOGO DEL CAMBIAMENTO
[La Repubblica, 10 febbraio 2008]

Questa legislatura è finita malissimo. Ma la marcia che conduce al voto poteva cominciare peggio. Promette, almeno, una competizione elettorale e un sistema partitico diversi dal passato. Per la prima volta dal 1994, infatti, si assiste a un'inversione di tendenza: il passaggio dalla coalizione al partito; o, perlomeno, alla lista comune.
Una novità introdotta dal Partito democratico. Segno di ricomposizione, dopo anni di frantumazione. Certo, questo Pd non riflette il disegno originario, delineato da Prodi e Parisi. I quali immaginavano un partito americano, presidenzialista e, tendenzialmente, largo quanto l'Unione. Che non si è realizzato, per diversi motivi. Non ultimo, il vincolo istituzionale e costituzionale. La legge elettorale che esalta le differenze e i particolarismi. La forma di governo che imita, goffamente, il presidenzialismo o il cancellierato. Ma resta, sostanzialmente, parlamentare.
Tuttavia, la spinta impressa dal Pd ha prodotto effetti più rapidi e profondi del previsto. Dentro la coalizione. Ha emarginato i frammenti opportunisti. Ha indotto i partiti di sinistra ad aggregarsi, per "legittima difesa". Ha, inoltre, contagiato il centrodestra. Spingendo Berlusconi a promuovere, senza indugi, il PdL. Il suo partito personale, allargato ad An e alle schegge politiche localiste e individuali, diffuse nel Paese. Mentre Casini, per ora, tituba. Teme che il suo partito si perda. E di perdere il partito. Ma alla fine, pensiamo, aderirà anche lui. Come sempre.
Al centro, Tabacci e Pezzotta cercano di ritagliare uno spazio, piccolo ma influente, a una formazione ispirata alla tradizione cattolico-democratica. Sfidando l'insuccesso dei tentativi precedenti e le ironie del Cavaliere. Complice la stanchezza suscitata dal mediocre bipolarismo italiano.
È, d'altronde, significativo che Berlusconi abbia scelto, a sua volta, di cambiare. Di seguire l'esempio del Pd, a centrosinistra. Segno che anch'egli considera definitivamente conclusa la transizione. Oppure - se si preferisce - la seconda Repubblica. Quella sorta di "bipersonalismo di coalizione", che ha opposto, per oltre dieci anni, il Cavaliere a Prodi. In base a un'alternativa ideologica in larga parte artificiale: antiberlusconismo vs anticomunismo. Oggi quello schema non funziona. Anzi, per Berlusconi - che ne è l'inventore - rischia di trasformarsi in una trappola. Prodi, infatti, considera finita la sua missione.
L'unione non c'è più. Al suo posto: la Sinistra Arcobaleno. E, anzitutto, il Pd. Partito nuovo, con un leader (relativamente) nuovo, rispetto alla nomenclatura della Seconda Repubblica. Insomma: il paesaggio e gli attori della scena politica nazionale stanno cambiando. Per questo il Cavaliere ha svoltato, avviando, in fretta, il PdL. Il "partito personale" di centrodestra. Di fatto, esisteva già prima. Ora, però, la "novità" viene istituzionalizzata. Enfatizzata: per assecondare il segno di tempi. Come ha segnalato Ezio Mauro, all'indomani dello scioglimento delle Camere.
"Il cambiamento sarà la leva del voto, l'innovazione la sua misura". Berlusconi non ha voluto lasciare al Pd e a Veltroni questo vantaggio competitivo. Temendo di apparire "vecchio". A capo di un'armata Brancaleone, affollata di sigle medie, piccole e minuscole.
Tuttavia, il vento del "nuovo" si respira dovunque. Fra i cittadini prima ancora che nei palazzi. Non basterà a sopirlo un semplice cambio di sigle o, magari, di maggioranza. Ogni opera di mimetismo potrebbe, al contrario, sollevarlo di nuovo, in modo più violento di prima.
Il cambiamento si misurerà, semmai, nella capacità dei partiti di tradurre l'antipolitica in politica. Di rispondere alle domande espresse, ad alta voce, dalle proteste degli ultimi mesi; ma implicite anche nel diffuso clima di sfiducia sociale, rilevato dai sondaggi. Riguardo al rinnovamento, la moralizzazione, la trasparenza: nella definizione dei candidati e dei programmi, nella stessa costruzione dei partiti "nuovi" - o sedicenti tali. Nei mesi che separano dal voto, cinque aspetti, a nostro avviso, risultano importanti, più degli altri, per valutare quanto il cambiamento annunciato rifletta una volontà reale oppure un'operazione cosmetica.
1) L'affermazione di soggetti politici "personalizzati", ma non "personali". Partiti capaci di selezionare e legittimare la classe politica; in particolare il candidato alla guida del governo; non semplici "protesi" al servizio - oppure proprietà - di un leader. Oppure mobilitati, in modo rituale, a confermare leader predestinati. Partiti di elettori, aperti alla società; che consultino i loro elettori. Prima, non dopo il voto: sulle candidature e sul programma.
2) La definizione di programmi "veri" e alternativi. Non un decalogo scritto in base alle indicazioni ricavate da sondaggi e da esperti di marketing. Da presentare al salotto di Vespa. Né ponderosi volumi di proposte; centinaia di pagine, cresciute per "accumulazione", non per "selezione". Per "non" scegliere. Ma poche priorità. Chiare. Condivise. Su questioni caratterizzanti, distintive. Non solo "cose", ma "valori". Perché le cose, senza valori, non hanno valore. Sul lavoro, la scuola, i temi etici, i partiti dicano, chiaramente, cosa pensano. Ieri Berlusconi ha tracciato un profilo molto chiaro e netto. Tradizionalista, più che conservatore. E' un bene: gli altri avranno dei punti di riferimento con cui misurarsi. A partire da Veltroni, nel "discorso per l'Italia", che terrà oggi a Spello.
3) La formulazione di liste veramente "nuove". Caratterizzate dalla presenza di alcune figure autorevoli, per quanto possibile esterne alle oligarchie di partito della seconda Repubblica. Al tempo stesso, occorre candidare figure "nuove" e rappresentative anche a livello periferico. Evitando i "soliti noti", scelti dalle segreterie nazionali. Anche se i tempi sono stretti, sarebbe colpevole non coinvolgere gli elettori nella scelta dei candidati, visto che al momento del voto non avranno margini di libertà. Pretendere di presentare l'esercito dei professionisti della "politica come routine" senza qualità, predicando il nuovo: si rischia il ridicolo.
4) Il grado di trasparenza nella scelta dei candidati. In base a criteri di competenza e moralità. I corrotti e i fiancheggiatori della mafia; i puttanieri, i riciclati e i triciclati; i parenti e gli amici in lista perché parenti e amici; quelli che si fanno candidare come polizza contro le condanne e quelli che trasformano il Parlamento in avanspettacolo: si eviti di proporli, riproporli o, meglio, di "imporli" agli elettori, visto che la legge elettorale attualmente in vigore non lascia loro scampo.
5) Infine, lo stile della campagna elettorale. Che sia civile, a differenza del passato. E tratti gli elettori da cittadini, non da consumatori a cui vendere un prodotto scadente, con tecniche di marketing raffinate. Né come spettatori: pubblico diseducato e mal-educato da anni e anni di pessimo spettacolo politico offerto da questa mediocre politica-spettacolo. Si discuta di programmi, valori. Veri, non finti. E se proprio vogliono ricorrere al marketing, i leader ci spieghino: perché dovremmo fidarci ad acquistare una macchina da loro; e dai loro candidati.
Tratteggiare queste regole di buona educazione politica - lo confessiamo - ci crea un po' di imbarazzo, dopo aver coltivato lo sguardo scettico come metodo (e come vizio). Dopo essere divenuti anche noi, come gran parte degli italiani, "diffidenti per default". Tuttavia, sperare non costa nulla.
Il Pd, che ha cominciato l'opera, continui a dare il buon esempio. Dopo tanti anni passati a "marcare" Berlusconi, si faccia inseguire. Dovrebbe essere un'esperienza eccitante.
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