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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL VOTO ALL'OMBRA DEL MURO DI ARCORE
[La Repubblica, 2 marzo 2008]

Colpisce la dimensione dell'incertezza fra gli elettori, in questa fase. Non perché si tratti di un fenomeno nuovo. Anzi. Ma le proporzioni, questa volta, sono inusuali. Superiori al passato recente e, a maggior ragione, di quello più lontano.
Colpisce. Visto che il paradosso dell'elettore incerto, in Italia, è che alla fine vota come sempre. Un elettore fedele che, nel profondo dell'animo, vorrebbe tradire. In Italia, infatti, a dispetto delle apparenze, il grado di stabilità elettorale è molto, molto elevato. Dal punto di vista territoriale ciò è evidente e sorprendente, se confrontiamo le ventisette province in cui i partiti hanno conseguito le performance più elevate nel 2006 e nel 1996.
A dieci anni di distanza: due su tre coincidono, per An, FI e Rifondazione; tre su quattro per la Lega e l'Ulivo. Quattro su cinque, se consideriamo le liste riunite nelle due coalizioni: Unione e Cdl. In altri termini: l'elettorato italiano continua ad essere "congelato" da appartenenze e fratture di lungo periodo. A cui altre, di nuove, si sono aggiunte. L'antiberlusconismo accanto all'anticomunismo. Le stesse indicazioni, peraltro, si ricavano se si valutano i comportamenti degli individui a livello elettorale. La ricerca condotta da Itanes ("Dov'è la vittoria?", Il Mulino, 2006) sottolinea come, alle elezioni del 2006, il tasso di "fedeltà" degli elettori delle due coalizioni sia molto elevato: il 92% nella Cdl e il 94% nell'Ulivo. I limitati spostamenti fra le due coalizioni, peraltro, si compensano.
Il mercato elettorale in Italia, quindi, continua ad essere stabile, diviso in due grandi bacini, largamente indipendenti. E il movimento elettorale avviene, in larghissima misura, tra formazioni politiche della stessa coalizione. Ma soprattutto fra voto e non voto. Si spiega così il risultato di due anni fa. Fino a poche settimane dal voto i sondaggi attribuivano al centrosinistra 5-6 punti percentuali di vantaggio. Dietro a cui si celavano, perlopiù, elettori di centrodestra, delusi dal governo Berlusconi. Incerti. Ma, in cuor loro, disposti a votare. Come prima. Come sempre. Contro i comunisti e per Berlusconi. Attendevano una "spinta". Berlusconi li assecondò. Indossando, nelle ultime settimane di campagna elettorale, i panni del Caimano.
Dunque, l'incertezza non è una novità, ma una costante dell'orientamento elettorale in Italia. A cui corrisponde un comportamento prevalentemente stabile. Il confronto con le precedenti elezioni, però, suggerisce alcune importanti novità, che vanno oltre l'ampiezza degli incerti. Peraltro, molto rilevante: oltre il 40% degli elettori.
1. L'incertezza, anzitutto, in questa occasione è alimentata dal mutamento dell'offerta politica. Come nel 1994. Sono cambiati i partiti. Le etichette. I nomi. Al tempo stesso, è cambiata la meccanica della competizione. Non è più bipolare. Oppone, invece, partiti. Nelle intenzioni dei due soggetti politici maggiori, è bipartitica. E bi-personale. Fra Pd e Pdl. Fra Veltroni e Berlusconi. Il grado di incertezza maggiore, per questo, si rileva fra gli elettori di centro e di sinistra. Fra quanti, nel 2006, avevano votato per l'Udc e per le formazioni che hanno dato vita alla Sinistra Arcobaleno. "Disorientati" perché il loro partito ha cambiato orizzonte. Uscito dall'orbita di Berlusconi, l'Udc. Dall'intesa con l'Ulivo e con Prodi, i partiti di sinistra. I quali, peraltro, hanno un problema ulteriore. La riconoscibilità, visto che hanno rinunciato alla loro specifica etichetta "partigiana" (Rc, Pdci, Verdi), per costruire, insieme, un soggetto politico con un nuovo marchio (Sa). Non ancora noto (né, forse, gradito) a tutti. Elettori incerti perché incerta è divenuta la posizione del loro riferimento politico.
2. Gli elettori sono "incerti" anche perché turbati e disturbati dal dubbio: votare in base all'identità o all'utilità. Scegliere il partito più vicino oppure quello che può vincere le elezioni, conquistando il premio di maggioranza previsto dalla legge.
3. L'incertezza è accentuata dall'eclissi della frattura fra antiberlusconismo e anticomunismo. I "postcomunisti" oggi sono entrati in una aggregazione nuova, che ha perfino rinunciato all'iconografia e ai richiami del comunismo. Liberando il Pd da una eredità ormai sgradita. Berlusconi, in questa fase, ha rinunciato al berlusconismo. Pd e Pdl, Veltroni e Berlusconi, peraltro, hanno evitato, fin qui, lo scontro, preferendo il confronto. Mimano una competizione di tipo presidenzialista. Rigorosamente a due. Per rafforzarsi reciprocamente ed escludere gli altri concorrenti.
4. L'incertezza, infine, è alimentata, come nel recente passato, dalla "delusione" nei confronti del governo. E colpisce, quindi, soprattutto gli elettori che nel 2006 avevano votato per l'Unione. In modo simmetrico e inverso rispetto a quanto era avvenuto due anni fa.
Questi aspetti spiegano non solo l'ampiezza, anomala, dell'incertezza, in questa fase. Ma anche le differenze che segnano le strategie degli attori politici in questa campagna elettorale, rispetto alla precedente.
a) Berlusconi è contrastato. Non può fare il "caimano". Prendersela con i comunisti e con la sinistra. Non solo perché oggi di fronte ha i democratici. Mentre i comunisti e la sinistra stanno "più in là". Ma, soprattutto, perché non ha interesse ad accendere troppo la campagna elettorale. Per timore di "mobilitare" gli elettori delusi, che oggi stanno, in larga parte, a centrosinistra. Fatica, inoltre, a sfruttare il principale argomento che gli fornisce consenso: la sfiducia nel governo Prodi. Perché di fronte, oggi, c'è un leader diverso: Veltroni. Il quale ha fatto del "nuovo" un marchio personale. Per questo il Cavaliere e il Pdl parlano, con insistenza, del "Pd di Prodi". Tuttavia, non è un'operazione facile. Perché il Pd, oggi, è un partito personalizzato, al servizio di Veltroni. Perché Berlusconi stesso evita lo scontro diretto con Veltroni. Lo accusa, semmai, di copiargli i programmi. E invita, anzi, gli elettori a scegliere fra loro due. Berlusconi o Veltroni. Perché oggi il vero nemico per Berlusconi non è il comunismo, ma il "casinismo". La sfida vera, per lui, è contro Casini e l'Udc. I principali freni alla sua crescita elettorale. Per questo insiste nel definire "inutile" il voto a questi "piccoli partiti". Anzi: un sostegno alla sinistra.
b) Veltroni, parallelamente, ha il problema di evitare una campagna retrospettiva. Sfuggire al passato. (In qualche modo: a Prodi). I suoi messaggi, per questo, evocano il "nuovo". Il "futuro". Incitano a non camminare con la testa "voltata indietro". A "guardare avanti". In sintesi: a scivolare da sinistra per avvicinarsi al centro. Il vero terreno di battaglia, oggi. Per entrambi i partiti "nuovi". Per i due candidati Presidenti.
Il problema per Veltroni è di fondare una proposta credibile, un'identità convincente: sfuggendo al passato. Perché le idee senza tradizioni sono volatili. Navi senza ancore.
I problemi per Berlusconi, tuttavia, sembrano più complicati. Oggi è il favorito. Dispone di un vantaggio significativo. Per cui agisce con prudenza. Per non scuotere i delusi e gli incerti. I quali, se abbandonassero l'inerzia, voterebbero per gli altri. Allo stesso tempo, una campagna sottotraccia, moderata come quella che sta conducendo, rischia di regalare spazio al detestato Casini, a Tabacci e alle formazioni di centro.
L'incertezza elettorale di questa fase, però, solleva una questione sostanziale, di grande rilievo non solo per il risultato delle prossime elezioni, ma per il futuro della nostra democrazia.
Se Berlusconi rinunciasse al berlusconismo - e Veltroni all'antiberlusconismo. Si sfalderebbero le fedeltà e le paure che impediscono all'incertezza di produrre cambiamento di voto. Cadesse il muro di Arcore, dopo quello di Berlino: assisteremmo a un grande disgelo.
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