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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL SENSO CINICO DEGLI ITALIANI
[La Repubblica, 12 agosto 2007]

Non si può dire che la notizia circa l'evasione multimilionaria (in euro) attribuita a Valentino Rossi e a Loris Capirossi abbia turbato più di tanto gli italiani. I due centauri, d'altronde, debbono la loro popolarità alle imprese in sella alla moto, non certo alle loro virtù civiche. Rischiano, invece, di offrire una conferma esemplare a quanti (tanti) ritengono l'evasione un reato solo quando e se viene scoperto. A quanti (tanti) la considerano, anzi, un metodo di legittima difesa, contro lo Stato ladrone. Tuttavia, l'insensibilità all'evasione è solo un aspetto del clima culturale dominante che si respira nella società. Per definirlo, abbiamo fatto ricorso, di frequente, al concetto di "sfiducia". Verso le istituzioni, le norme e le regole pubbliche. Oggi, però, conviene rivedere il vocabolario. Perché la "sfiducia" suggerisce, comunque, un orientamento "attivo". La revoca di un "mandato" (la fiducia), che suscita delusione e, spesso, sdegno. Ma, oggi, in Italia, lo sdegno è divenuto una merce rara. Neppure contro i "politici" e la "politica", le categorie più deprecate, si odono squilli di rivolta. La "casta degli intoccabili", denunciata da Stella e Rizzo. E' diventata, in fretta, un genere letterario e mediatico di successo. Un linguaggio, a cui si sono adeguati gli stessi politici. I primi, oggi, a denunciare i privilegi di cui vengono accusati. D'altronde, è difficile indignarsi in apnea. Ad libitum. Fare esplodere una Tangentopoli ogni decennio. E pretendere che i cittadini reagiscano. Così le onde emotive, agitate dai media, si sollevano, alte. Ma non alimentano passione. Tanto meno indignazione. Solo un crescente, diffuso "senso cinico". Un "grande Blob", che piano piano dilaga e ci rende insensibili. Mitridatizzati. Indifferenti a ogni veleno.
Nulla ci sorprende. Andreottiani fino in fondo. Sappiamo che a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si prende. Per cui pensiamo male, a priori. Assecondati dai fatti. Nello sport, ad esempio. Nove italiani su dieci (sondaggio Demos di prossima pubblicazione sulla Repubblica) ritengono che "il calcio oggi non è credibile". E otto su dieci sostengono che "un anno dopo Calciopoli, non è cambiato niente. Tutto è come o peggio di prima". Certo, il problema non riguarda solo l'Italia e il calcio. Basta pensare a quel che è successo al Tour de France. Dove la classifica è stata scritta e riscritta in base ai controlli antidoping. Però qui non si coglie la stessa preoccupazione che ha scosso la Francia. Dove la "credibilità" del risultato è un requisito "necessario" al funzionamento della competizione. Né, come è avvenuto in Germania, c'è il rischio che i media oscurino la gara, dopo l'ennesimo caso di doping. Dopo l'ennesima truffa. In Italia, i diritti televisivi del campionato di calcio, nonostante Calciopoli, continuano ad essere contesi a prezzi stratosferici da tutte le tivù. E il pubblico, per quanto disilluso, per quanto convinto che "la palla non è rotonda" (come recitava il titolo profetico di un quaderno di "liMes" del 2005) continuerà a garantire a ogni torneo, a ogni gara, un'audience altissima. In qualsiasi stagione.
Diffidenti a priori. A prescindere. Gli italiani immaginano che "gli altri, se possibile, se non fai attenzione, ti fregano" (il 60% degli intervistati: indagine Demos-Coop, giugno 2007). Per cui si adeguano. Si guardano (ci guardiamo) con un certo sospetto. Senza fare drammi, per carità. Perché pare normale, naturale. Che non ci siano innocenti, buoni e giusti. Che tutti abbiano un prezzo. Che chiunque, se possibile, faccia i propri interessi. Che gli uomini, per propria natura, siano deboli e peccatori. Tutti. Anche i preti. Anche i benefattori. Naturalmente, questo sentimento si rivolge e si applica, a maggior ragione, allo Stato, alla politica e ai politici. Non a caso, secondo l'indagine annuale sul civismo degli italiani curata da Demos e Repubblica (dicembre 2006), un terzo degli italiani ritiene giustificabile e perfino giusto "evadere le tasse". Perché fra i cittadini e lo Stato vige un legame di reciproca sfiducia. Un rapporto di "mutuo sospetto". Lo Stato presume che i cittadini, se è loro possibile, non paghino le tasse. Per cui impone loro un super-carico fiscale. Associato a sistemi di calcolo che impongono ai contribuenti l'onere della prova (in altri termini: di non essere evasori). Come i famosi studi di settore. E i cittadini si adeguano. Evadono, eludono, si arrangiano. Non per nulla, l'Italia è il paradiso dei commercialisti e dei consulenti fiscali.
Peraltro, anche prima di avere letto le inchieste sui costi della politica, l'82% degli italiani si diceva convinto che "gran parte dei politici pensa anzitutto ad arricchirsi e a fare i propri interessi" (indagine FNE-Demos-Pragma settembre 2005). E oggi, dopo le ennesime polemiche sui rapporti fra politica e banche, è ancor più diffusa l'idea che di fronte agli affari non ci siano distinzioni. Destra e sinistra: tutti uguali.
Ma nonostante tutto, vale la pena di ripeterlo, non sentiamo aria di rivoluzione. E neppure di astensione dalla politica. La partecipazione elettorale alle politiche del 2006, ma anche al primo turno delle comunali di due mesi fa, è stata molto elevata. E i programmi televisivi che si occupano di politica continuano a registrare ascolti molto alti. Anche se hanno rovesciato la prospettiva, ponendo al centro l'antipolitica. La dissacrazione, la svalutazione, la denuncia, del mondo politico. Dove, per definizione, abbondano i privilegi, la corruzione, la coca, le donnine e i trans "a ore".
Più che un popolo di indignati, per ricorrere alla nota formula di Prezzolini, siamo diventati "una società di Apoti". Quelli che non si bevono le bugie dei politici. Solo che, per Prezzolini, si trattava di un atteggiamento di "sfiducia costruttiva". Un metodo critico e "a-ideologico" di valutare le cose. Mentre attualmente sembra divenuto uno stile culturale diffuso. Gli italiani "non se le bevono". Chiunque comandi, in Italia, risulta sfiduciato. Oggi, Prodi e il centrosinistra; appena un anno dopo la vittoria alle elezioni. Ieri, Berlusconi e il centrodestra. Colpevoli, a loro volta, di stare al governo. Neppure il verdetto del voto appare più indiscutibile. Perché viene contestato, anche a distanza di mesi. Perché le indicazioni dei sondaggi vengono trattate alla stregua di consultazioni elettorali.
Naturalmente, il virus del cinismo che induce gli italiani a comportarsi da apoti verso lo sport, il fisco, le istituzioni, la politica, gli "altri", non è innato. Trova, comunque, dei moltiplicatori. In ciò che avviene nello sport, nel fisco, nelle istituzioni, nella politica, negli "altri". Tuttavia, questo clima culturale diffuso rende difficile, quasi impossibile, "cambiare". Risanare lo sport, allargare la concorrenza nel mercato. Innovare la politica, riformare le istituzioni. Affermare il Partito Democratico. Costruire una nuova classe dirigente. Finché il senso cinico sovrasta e annichilisce quello civico. Finché lo spazio pubblico, il bene comune restano, per definizione, una "terra di nessuno".
Ha scritto un "grande scettico", Jorge Luis Borges: "Credo che col tempo meriteremo che non esistano governi". Ma noi si agisce "come se il governo non ci fosse". Coltivando, semmai, l'illusione cesarista, che induce otto italiani su dieci a invocare "un uomo forte" alla guida del Paese. Ma l'Italia cinica di questi tempi respinge la politica e scoraggia gli "uomini forti". Anche Sarkozy, oggi tanto celebrato, faticherebbe a venir preso sul serio, nel nostro Paese. Come i suoi riferimenti. De Gaulle. Lo stesso Napoleone: rischierebbe di finire, presto, in esilio. Non a Sant'Elena. Molto peggio: sull'Isola dei famosi.
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