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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL SOGNO DINASTICO SUL PARTITO UNICO
[La Repubblica, 28 gennaio 2007]

Per parlare del Pum, il futuro Partito Unico dei Moderati, Silvio Berlusconi ha scelto un momento mondano e conviviale. La cena seguita alla consegna dei Telegatti. Il premio televisivo promosso da Mediaset. Nella stessa circostanza, inoltre, non ha nascosto di considerare Gianfranco Fini adatto a succedergli, alla guida del Pum. Una sede leggera per esternare su questioni politiche tanto pesanti. Non deve sorprendere. Da sempre, il Cavaliere ha contaminato i generi. La politica, la televisione, lo spettacolo, il marketing. Né può meravigliare la preferenza per Fini. Visto che era stato Berlusconi, nell'autunno del 1993, a "sdoganarlo", insieme al Msi. Lo sostenne, al secondo turno delle elezioni a sindaco di Roma, quando Fini, sorprendentemente, si conquistò il diritto di sfidare Francesco Rutelli, candidato della sinistra. Aveva capito tutto, prima degli altri, Berlusconi. Il maggioritario esclude chi sta in mezzo. Gli eredi della Dc e dei partiti centristi. Così, nel Centro sud (a Roma come a Napoli), il Msi diventava, naturaliter, l'alternativa alla sinistra. Ai "comunisti". Come la Lega nel Nord. La tradizione fascista, che aveva fatto del Msi un "polo escluso" (secondo la definizione di Piero Ignazi), smetteva di essere un pregiudizio. Anzi: diventava quasi una risorsa. Perché meglio esclusi che compromessi con la Prima Repubblica. Aveva capito tutto, Berlusconi, mentre si apprestava a scendere in campo. Così fondò il suo partito "personale" e vi creò intorno una coalizione larga ed eterogenea. Per intercettare il voto del Nord e del Sud. Degli orfani dei partiti di governo e degli elettori di destra. Di chi voleva il nuovo. Ma senza perdere le tracce della tradizione. Aggregò il Msi, che cambiò subito nome. Divenne Alleanza Nazionale. Non più "neo", ma post-fascista. Si accordò con la Lega, altrimenti "chiusa" nei confini del Nord. Rafforzò la sua immagine di "italiano medio che parla all'italiano medio" attraendo il Ccd di Casini. Neodemocristiani, che pensavano di "rimpiazzarlo" in fretta, alla guida della coalizione. Sicuri che un impolitico come lui non avrebbe potuto certo durare a lungo. Profezia lungimirante. Sono passati tredici anni dalla prima vittoria elettorale di Berlusconi. Che, da allora, ha perso, rivinto e ancora riperso. Ma il suo disegno non è cambiato. "Unificare" la destra. O meglio: i "moderati", come li chiama lui. Suggerendo, in questo modo, che tutti gli altri sono estremisti. Fino a ieri, però, non aveva bisogno di dichiararlo. Perché, diversamente da quanto avviene nell'altra parte politica, lui è davvero il "padrone" della "casa comune". Solo che oggi, dopo la sconfitta elettorale, dopo i problemi di salute che lo assillano, dopo le contestazioni sorte nella CdL (da parte di Casini, soprattutto), è diventato opportuno affrontare le prospettive del Pum. Dopo Berlusconi. D'altronde, i motivi di unità, nella Destra, non mancano. Dal 1994 ad oggi, infatti, i principali partiti del (centro) Destra hanno marciato uniti. Con l'eccezione della Lega, nel 1996. Una defezione che costò al Polo la sconfitta elettorale, nell'occasione. Rissosi e divisi. Ma, comunque, insieme. Anche oggi, nonostante lo scacco elettorale del 2006, Berlusconi non appare uno sconfitto. Dopo che, da solo, ha quasi ribaltato i pronostici. La Casa delle Libertà, d'altronde, è scossa da tensioni interne e dalla aperta dissociazione dell'Udc di Casini. Ma non si percepisce, troppo. Perché può godere di una solida "rendita di opposizione". Lascia che siano Prodi e i suoi ministri a pagare i costi della situazione. Ad affrontare il deficit di bilancio, i risentimenti delle professioni liberalizzate. Dei tassisti e dei benzinai. Lascia al governo l'onere di riformare oppure no il sistema pensionistico. Scegliendo se scontentare il sindacato, che lo sostiene, oppure le autorità europee. Lascia al governo il compito di "rispettare i patti" con gli americani, (con)cedendo il raddoppio della base di Vicenza. Lascia che l'Unione appaia un "ossimoro", viste le divisioni che la traversano. Intanto, a destra si diffondono occasioni di unità e mobilitazione sul territorio. Come è avvenuto in autunno. Si pensi alle manifestazioni organizzate in molte piazze di provincia, contro la finanziaria. Migliaia di persone, bandiere tricolori, azzurre e leghiste, mischiate insieme dovunque. Fino alla celebrazione conclusiva. A Roma, il 2 dicembre. Dove è confluito oltre un milione di persone. A dimostrazione che l'era del "partito di plastica" è finita. Per rendere "permanente" questo impianto, Berlusconi, oggi, propone la formazione, dovunque, dei "circoli della libertà", aperti ai sostenitori di tutti i partiti di Destra. Al posto dei "club", che operano all'interno di FI, come canali di promozione politica personale e di gruppo. Al di là della "rendita di opposizione", c'è, inoltre, un retroterra culturale, che accomuna una parte, ampia, degli elettori di (centro) destra. Un'ideologia. Più degli intellettuali di Liberal, che nei giorni scorsi hanno discusso di "berlusconismo", vi contribuiscono i giornali di riferimento. Non tanto il "Giornale" di famiglia. Ma "Libero", che fornisce il linguaggio popolano e i temi aggressivi della polemica quotidiana. "Il Foglio": che elabora, in modo creativo, modelli etici ed estetici. A metà strada fra Bush e Ratzinger. C'è, poi, una base larga, a destra, che, al di là delle preferenze di partito, condivide alcuni specifici riferimenti: il tradizionalismo etico e sociale, un liberismo aggressivo, l'americanismo, l'antipolitica. L'appartenenza cattolica (che ha avuto un peso importante, alle ultime elezioni: come mostra il saggio di Segatti nell'ultima ricerca di Itanes, Dov'è la vittoria?). L'anticomunismo. E, infine, la televisione. Non solo per identificazione con gli interessi del leader. Ma perché la tivù costituisce una sorta di frattura sociale. Fra la politica come partecipazione e come comunicazione. Tra chi fa coincidere la libertà con la battaglia pro o contro Mediaset. Non a caso, Berlusconi ha minacciato di portare in piazza milioni di persone. D'altronde, questa alternativa appare, in larga misura, fittizia e artificiale. Visto che anche la sinistra si è "berlusconizzata", da tempo. E non riesce a pensare la politica fuori dalla televisione. Il Pum esiste già, nei fatti. Anche se i gruppi dirigenti dei partiti stentano a riconoscerlo, per ragioni di autoconservazione. Ha radici più profonde di quanto si pensi. La base elettorale della Cdl alle elezioni del 2006, infatti, riproduce, in larga misura, la geografia del voto di Dc, Msi e Lega nel 1992, considerati insieme. Delle 50 province in cui queste aggregazioni prendono più voti, 35 sono le stesse. Dietro al Pum, dietro all'Italia di destra, quindi, oggi riemerge la tradizionale frattura anticomunista. Le idee espresse da Berlusconi - a cena, dopo i "Telegatti" - hanno, quindi, fondamento politico, culturale, territoriale. Semmai, c'è da dubitare che egli intenda procedere in fretta alla "costruzione" del Pum (condivisa, peraltro, da due elettori della CdL su tre: Demos-Eurisko, ottobre 2006). E ancor più all'investitura di Fini (su cui ieri Berlusconi ha già frenato). Il quale gode di uno straordinario successo di pubblico (insieme a Veltroni, è il politico più "stimato" dagli italiani). Ma non può venire accettato dagli altri partiti. Dalla Lega, che si è già dissociata. Tanto meno dall'Udc, che ha defezionato (e difficilmente tornerà indietro). Ma senza uno solo di questi pezzi: la Lega, la stessa Udc (per quanto non tutto il partito sia d'accordo con Casini), è difficile, per la Cdl, vincere le elezioni. Nonostante le indicazioni dei sondaggi. Per questo, abbiamo l'impressione che Berlusconi parli del Partito Unico della Destra e della sua successione, senza crederci davvero. Ma perché risulti evidente, a tutti, che l'unità della Destra, senza di lui, non è possibile. E che non c'è altro leader al di fuori di lui. Berlusconi. L'unico in grado di tenere insieme un cartello di sigle, così diverse per tradizione, identità, interessi, territorio. D'altra parte, viviamo un un'epoca neo-notabilare. Nello stesso Paese guida, gli Usa, le cariche si trasmettono per via ereditaria (di Bush in Bush, di Clinton in Clinton). Non ci sarebbe nulla di che stupirsi se Berlusconi, come per l'impresa, pensasse a una successione dinastica. In famiglia.
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