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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
OLTRE LA "TERRA DI MEZZO"
[La Repubblica, 22 aprile 2007]

Fa una strana sensazione assistere a due congressi di partito che si muovono, in sincronia, con il medesimo scopo. Sciogliersi, per riunirsi in un nuovo partito. Un viaggio senza ritorno, verso una terra di cui si conosce il nome. Ma non molto di più. La Terra del Partito Democratico appare, infatti, ancora indefinita, oscura. Immaginata e descritta in modo diverso. Proiettata nella tradizione del socialismo europeo oppure nell'orizzonte americano. Allo stesso tempo, non è chiara la rotta da seguire. Né chi governerà, domani, la nuova Terra. E chi la abiterà. Quanti la popoleranno, come saranno chiamati a partecipare, ad esprimersi. Tuttavia, oggi i Ds e la Margherita sono definitivamente «ex partiti» in cerca di un «partito annunciato». E non è poco. Si sono mossi da quella «terra di mezzo» in cui si erano perduti già da alcuni anni. La testa girata all'indietro. A scrutare il proprio passato, le proprie radici. A coltivare la memoria. Senza accorgersi, quasi, che, un anno dopo l'altro, un giorno dopo l'altro, le radici sono divenute più deboli, la memoria più fragile. E la partecipazione è declinata. Come i voti. Alle elezioni politiche del 2006, al Senato, dove si sono presentati da soli, la Margherita è rimasta sotto l'11%, i DS non hanno raggiunto il 18%. Ecco come si sono ridotti. Due partiti di taglia medio-piccola, che insieme superano a stento al 28%. Meno della DC del 1992, quando, a fine corsa, toccò il minimo della sua storia. Molto al di sotto del Pci degli anni Settanta e Ottanta. DS e Margherita. Sotto il profilo elettorale, la prospettiva unitaria, per loro, più che un rischio costituisce un vantaggio. D'altronde, nel 2006, al Senato, Margherita e DS, considerati insieme, hanno totalizzato tre punti percentuali in meno che alla Camera, dove si sono presentati «uniti nell'Ulivo». La lista dell'Ulivo: prima, per numero di voti, in 85 province su 108, alla Camera. Mentre al Senato, i Ds e la Margherita, sommati insieme, hanno prevalso in 71 province: 14 in meno. Insomma, l'esperienza unitaria, nel centrosinistra, anche in assenza di una strategia elettorale coerente e convinta, non ha dissipato il bacino elettorale delle forze politiche alleate. Come era sempre capitato in passato. Negli anni '60: al PSU, frutto dell'accordo fra PSI e PSDI. Negli anni '80: all'intesa PRI-PLI. Nelle ultime elezioni: alla Rosa nel Pugno, alleanza fra Radicali e SDI. In tutti questi casi, la nuova aggregazione ha raccolto meno (molto meno, talora) della somma degli elettori di cui disponevano i singoli partiti. Nel caso dell'Ulivo, padre legittimo del Partito Democratico, no. Un po' perché fra gli elettori di centrosinistra è particolarmente diffuso l'orientamento maggioritario. Molti di loro non si riconoscono in un singolo partito. Esprimono una scelta di «parte», ma non «partigiana». Un po' perché i partiti di centrosinistra, più di quelli di centrodestra, hanno subito la crisi della prima Repubblica. Ne sono gli eredi. Ma anche, per questo, prigionieri. E stentano a proiettarsi nel futuro. Per cui faticano ad «attrarre» gli elettori intorno a progetti incerti, promossi da una classe dirigente afflitta da reducismo. Per cui, gli elettori non hanno faticato a «incontrarsi», a mobilitarsi e a votare insieme, quando ne hanno avuto l'occasione. D'altronde, visti da lontano, DS e Margherita sembrano fatti uno per l'altro. Coerenti e complementari: per geografia, sociologia e orientamento politico. a) Le mappe che tratteggiano i loro punti di forza nel Paese, si incastrano come le tessere di un puzzle. I DS, saldamente ancorati al centro. Nel «cuore rosso» dell'Italia (come lo ha felicemente definito e descritto Francesco Ramella, in un saggio edito da Donzelli nel 2005). La Margherita insediata nelle aree intorno. A comporre le tessere mancanti del puzzle. Nel Nordest, nel Nordovest, nel Sud tirrenico, nelle isole. Zone in cui eredita e coltiva una parte della tradizione - e dell'organizzazione - democristiana. Insieme, appaiono una forza politica «nazionale». Mentre, da soli, presentano un profilo sparso: la Margherita; oppure fin troppo «regionalizzato»: i DS. Marc Lazar, per questo, li definì, in modo un poco impietoso, la «Lega di Centro». Due insediamenti elettorali così distinti e, in passato, distanti - opposti - si sono dimostrati pronti a votare uniti, negli ultimi dieci anni, ogni volta che i «partiti di riferimento» ne hanno offerto loro l'opportunità. Anche perché i due elettorati, hanno storie diverse, ma oggi propongono una serie di importanti riferimenti condivisi. b) La posizione politica, ad esempio. I due terzi degli elettori Ds si dicono di «centrosinistra». Lo stesso avviene tra quelli della Margherita. Insieme delineano il maggiore addensamento di «sinistra moderata». c) Esprimono, inoltre, orientamenti verso le istituzioni e atteggiamenti di valore molto vicini. Fiducia nel sindacato, nello Stato, apertura verso l'Europa, tolleranza verso gli immigrati. Per contro: sfiducia nella devolution e nello stesso federalismo. Sono diversi dagli elettori di centrodestra. Ma anche da quelli della «sinistra» radicale (o «conservatrice», come la definisce Michele Salvati), da cui li distingue una maggiore fiducia verso il mercato e l'impresa. Fra gli elettori dei Ds e della Margherita, peraltro, emergono significative differenze riguardo alle questioni «etiche». In tema di famiglia e di bioetica: dalla procreazione assistita alla ricerca sulle staminali; ma anche in merito all'aborto o al divorzio. Riflesso della pratica religiosa e, quindi, dell'attenzione verso la Chiesa che caratterizzano gli elettori dell'Ulivo. Tuttavia, anche su alcuni di questi argomenti, gli elettori della Margherita appaiono più lontani dagli elettori di centrodestra che dai Ds. In altri termini: gran parte degli elettori era pronta da molto tempo a «farsi coinvolgere» nel PD e, prima, nell'Ulivo. Come dimostrano le esperienze di questi ultimi anni. Se, fino ad oggi, non è avvenuto è soprattutto a causa delle resistenze opposte dai gruppi dirigenti. In nome di «buone ragioni», talora: la difesa dell'identità, della storia, dei valori, degli interessi «sociali» rappresentati. In molti altri casi, in nome di ragioni meno nobili. La difesa di posizioni di potere, privilegio. Degli interessi «particolari» e «individuali». I congressi celebrati dagli «azionisti di riferimento» del PD hanno costituito, per questo, una importante opportunità. Non solo per accelerare la costruzione del nuovo partito, ma, prima ancora, per riaccendere la passione degli elettori, un po' sopita, da un anno a questa parte. Affinché il progetto non si incagli di nuovo, prima di arrivare alla Terra promessa, occorre, per questo, contrastare le resistenze che, nonostante la scossa determinata dai congressi, appesantiscono ancora i gruppi dirigenti. In particolare, la tentazione di costruire il PD «dall'alto». Di trapiantare nel Nuovo Partito gli stessi leader, la stessa classe politica che, da anni, talora decenni, è alla guida di quelli Vecchi. Insensibile al passaggio da una Repubblica all'altra. Certo: tra essi vi sono figure di valore. Uomini generosi. Che hanno contribuito in modo determinante a questo percorso. Dovrebbero, con la stessa generosità, farsi da parte. Perché ci riesce difficile immaginare un «partito nuovo» governato da «uomini vecchi». (E, ovviamente, non ne facciamo una questione di età). Non vorremmo apparire, come sempre, cinici e disillusi, in un momento significativo come questo. Un poco lo siamo. Ma in questo caso abbiamo speranza. E una convinzione, confortata da questi congressi. Che la necessità del rinnovamento sia ben presente, negli ex-partiti del centrosinistra. Fra i militanti. Fra i dirigenti. Ma lo è altrettanto, forse di più, anche fuori. Ogni volta che la politica ha gettato un ponte verso la società, i cittadini l'hanno attraversato in massa. Con entusiasmo perfino sorprendente. E' avvenuto nel 2005, alle primarie del 16 ottobre. Avverrà, ne siamo certi, in occasione della consultazione promossa per eleggere la «costituente» del Pd. A meno che proprio il successo inatteso delle primarie non suggerisca prudenza a chi le ha, non del tutto consapevolmente, «concesse» due anni fa. Sarebbe molto rischioso. Perché quando si costruisce una casa «più grande e più bella», come ha suggestivamente promesso Fassino, a conclusione del congresso dei DS, poi è difficile lasciare gli invitati a guardia dell'uscio.
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