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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
LA TERAPIA DEL RISVEGLIO
[La Repubblica, 29 aprile 2007]

Tra gli elettori di centrosinistra (ma non solo), l'avvio del Pd ha funzionato come una sorta di "terapia del risveglio". Ne ha spezzato il disincanto, ravvivato le attese, frustrate dal gioco di annunci e rinvii, che durava da troppo tempo. I congressi dei Ds e della Margherita, peraltro, hanno confermato che si tratta di un percorso accidentato. Disseminato di trappole. Ma non importa. Perché incontra una domanda sociale davvero ampia e ostinata. Disposta a "crederci", nonostante tutto. A raccogliere ogni segnale, per quanto contraddittorio. Come suggeriscono i dati dell'Atlante Politico di Repubblica, curato da Demos-Eurisko nei giorni successivi ai congressi dei Ds e della Margherita. La domanda di unità: è salita molto e in fretta rispetto alla precedente indagine, svolta nei primi giorni di marzo. Dal 60% a quasi il 70% fra gli elettori di centrosinistra. Ma ancor più nel centrodestra: dal 62% fino al 75%. In altri termini, gli elettori della Cdl, più di tutti, appaiono alla ricerca di un soggetto politico unitario per il quale votare. Probabilmente perché nel centrodestra, a differenza di ciò che è avvenuto nel centrosinistra, questo percorso, per quanto continuamente evocato (soprattutto da Berlusconi), non è mai stato effettivamente intrapreso. Per questo motivo, la costruzione del Pd suscita un sostegno ampio, che va oltre le divisioni politiche. Lo valuta favorevolmente il 44% degli elettori. Quasi il 70% nel centrosinistra, ma oltre il 30% anche nel centrodestra. Il Pd, in altri termini, piace anche a una consistente quota di elettori che non hanno intenzione di votarlo, né ora né mai. Perché risponde alla domanda di smuovere le acque stagnanti della politica. Perché alimenta la speranza di superare questo autunno grigio della (seconda?) Repubblica. Questa transizione stanca. Quanto al "mercato elettorale" del Pd, è sempre azzardato definirne i confini, come abbiamo scritto nei giorni scorsi. Tuttavia, oggi, dopo che i congressi dei Ds e della Margherita ne hanno fatto un'ipotesi concreta, la capacità di attrazione del Pd sembra cresciuta, rispetto alle indicazioni fornite, nelle settimane scorse, da alcuni analisti (pensiamo, in particolare, a Renato Mannheimer). Le preferenze degli elettori, chiamati ad esprimersi "come se il Pd ci fosse già", attribuiscono al "partito nuovo" del centrosinistra circa il 28% dei voti. Il 60% dell'elettorato dell'Unione. Più o meno come in occasione delle elezioni del 2006. Oltre a questa base di elettori "certi" ed "effettivi", però, c'è una ulteriore quota di elettori, simile per ampiezza, il 29%, che prende in considerazione il Pd, come una scelta "possibile", in non pochi casi "probabile". Tanti. Sicuramente troppi. Ma è un dato significativo, perché riflette l'interesse prodotto da questa novità. In particolare, il Pd sembra riscuotere l'attenzione di una quota significativa di elettori dell'Udc ma soprattutto degli incerti, dei disillusi, dei distaccati. Di sinistra, di destra, di centro. E di "fuori". Ma al di là di ogni tentativo, sempre arbitrario, di "misurare" un partito che verrà, l'indagine restituisce chiaramente la domanda di cambiamento espressa dagli elettori. I quali esprimono un'idea del Pd ancora poco definita, ma, comunque, lontana dalle questioni che hanno agitato il dibattito dei due congressi. L'alternativa fra socialisti e popolari, in primo luogo, appare sfocata, rispetto all'orientamento dei futuri "democratici". Tra i quali il richiamo socialista prevale, ma di poco. Mentre l'identità popolare e democristiana appare comunque forte, soprattutto fra gli elettori "potenziali". Come, d'altronde, la tradizione "liberale". Nasce "plurale", per cultura politica, il Pd. E' difficile incastrarlo dentro confini definiti e chiusi. Non solo perché è allo "stato nascente". Non solo perché riflette i valori e gli atteggiamenti politici di elettori che hanno provenienze (partitiche e non) molto diverse. Ma perché chi lo guarda con interesse e desiderio immagina qualcosa di diverso. Per cui, di fronte alla scelta delle alleanze future (con la sinistra-sinistra o con il centro-centro?), la gran parte dei futuri elettori del Pd risponde: con gli uni e con gli altri. Senza preferenze e senza pregiudizi. E se ci concentriamo sugli elettori "potenziali" che apprezzano il Pd, ma non hanno ancora deciso: è chiara la loro proiezione al centro. La loro preferenza moderata. Però, lo ripetiamo, l'imprinting del Pd sembra largamente riassunto nella "domanda di partecipare", di "cambiare", di "esserci". Basti pensare alle "primarie". Tra gli elettori "certi" del Pd, 2 su 3 affermano di aver partecipato alla consultazione del 16 ottobre 2005. Fra quelli potenziali la percentuale scende (per così dire) al 40%. Si tratta di dati tanto clamorosi quanto esagerati e inverosimili. Due-tre volte superiori alla realtà. Ma, non per questo, meno significativi, emblematici. Stanno a sottolineare quanto le primarie siano diventate importanti per gli elettori del centrosinistra e per i "partigiani" del Pd. Una sorta di "mito fondativo" (la formula è di Arturo Parisi). Talmente condiviso da spingere molte persone che, pure, non vi hanno, in effetti, partecipato, a "forzare" il chiavistello della memoria. Al fine di poter rivendicare, anch'essi, quel ricordo comune. Al tempo stesso, quasi un elettore su due del Pd sostiene che il futuro partito deve caratterizzarsi promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini alle scelte più importanti. Mentre il 60% degli elettori certi si dice disposto a partecipare alle "primarie" per eleggere l'assemblea costituente del partito e circa il 70% per scegliere il leader. Identificato da una larga maggioranza di "democratici" (come hanno rilevato anche altri sondaggi) nella figura del sindaco di Roma, Walter Veltroni. Oltre che per le sue qualità personali, per i suoi meriti e per la sua immagine: perché in questi anni ha fatto il sindaco di Roma; è rimasto "fuori" dalle faccende della politica di partito. Perché risulta più "nuovo" degli altri candidati in circolazione. Perché "non si è sporcato le mani" nell'impresa (importante, ma logorante) di traghettare i partiti tradizionali verso la sponda "democratica" (come, sicuramente, pensano i leader dei Ds e del Pd; non del tutto a torto). Lo stesso Prodi, l'inventore dell'Ulivo, il premier del governo dell'Unione, non rientra fra le scelte privilegiate dagli elettori, come futura guida del Pd. Perché, probabilmente, egli stesso si è "chiamato fuori". Annunciando che, insieme all'esperienza di governo, si concluderà anche la sua leadership. Tuttavia, è indubbio che l'indicazione degli elettori democratici suggerisce una domanda di ricambio politico e generazionale. Esplicita. Perché è difficile "rappresentare" il cambiamento della politica senza cambiare le persone. Senza cambiare le facce che "rappresentano" i partiti. Tanto più nella democrazia dell'opinione, espressa da partiti personalizzati e mediatizzati. Il Pd, per comunicare e avviare il "nuovo" dovrà avere, presto, una leadership "nuova".
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