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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
VELTRONI E L'URGENZA DI VOLTARE PAGINA
[La Repubblica, 30 giugno 2007]

Se fossimo in Francia e si votasse per le presidenziali, Walter Veltroni avrebbe buone probabilità di farcela. In un ipotetico ballottaggio, secondo il sondaggio Demos-Eurisko per l'Atlante politico, batterebbe di misura Silvio Berlusconi e Pier Ferdinando Casini. Prevarrebbe largamente su Letizia Brichetto Moratti. Ma perderebbe, in modo dignitoso, con Gianfranco Fini. Il quale, tuttavia, difficilmente sarà chiamato a sfidarlo, visto che, a destra, non c'è alternativa a Berlusconi. Come, d'altronde, a Veltroni nel centrosinistra. L'unico, oggi, a poter competere con i leader della Cdl. Bersani, la Finocchiaro, lo stesso Prodi: contro il Cavaliere perderebbero alla grande. Purtroppo per Veltroni, per il nascente Partito Democratico (PD) e per il centrosinistra, non siamo in Francia. Siamo in Italia. Dove si vota per i partiti e per le coalizioni, non per le persone. Dove il clima d'opinione, per quanto abbia reagito positivamente alla sua candidatura, è gravemente pregiudicato: dall'impopolarità del governo e dalle divisioni dell'Unione (su tutto). Dalla marcia lenta e tortuosa del PD. Il governo, anzitutto, gode ormai di una sfiducia ampia e trasversale. Solo il 26,3% degli italiani gli attribuisce un voto sufficiente. 14 punti in meno rispetto a due mesi fa. Mai, da cinque anni a questa parte, il consenso per il governo era sceso tanto in basso. Oltre il 60% degli elettori, di conseguenza, si dice convinto che, se oggi si votasse, vincerebbe la CdL. E le stime elettorali confermano questa previsione. La distanza tra le due coalizioni, infatti, è molto ampia: 55% a 44% per il centrodestra. Tre punti in più di due mesi fa. Mentre il PD è calato di quattro punti. Si è ridotto al 24%. Penalizzato, perlopiù, dai transfughi della SD. Non si può chiedere, d'altronde, a Veltroni di fare i miracoli, con una sola apparizione (non è mica il Cavaliere). Soprattutto dopo mesi punteggiati di cattive notizie, per il governo e per il centrosinistra. Prima: il cattivo risultato alle elezioni amministrative, in particolare nel Nord (complice, soprattutto, il calo della lista unitaria dell'Ulivo). Poi: i veleni esalati dal ritorno dell'affare Unipol-Bnl e dalle intercettazioni dei dialoghi fra esponenti DS e Consorte. A seguire: le polemiche sulla sostituzione del comandante della Guardia di Finanza. Ancora: la densa cappa di sfiducia antipolitica, che ha alimentato, soprattutto, il distacco da chi governa. Infine: il malessere delle categorie. La protesta antifiscale dei piccoli imprenditori e il negoziato inconcludente con i sindacati sulle pensioni. Da ciò, l'incapacità del governo di capitalizzare il miglioramento degli indici economici. Oggi 6 italiani su 10 sono soddisfatti della loro condizione economica familiare (+2% rispetto ad aprile). Ma solo il 28% dell'economia italiana (-9% rispetto ad aprile), mentre l'87% delle persone si dice insoddisfatto di come vanno le cose in Italia (+2% rispetto ad aprile). Insomma, l'economia marcia, la disoccupazione è ai minimi storici, i conti pubblici sono migliorati. Ma gli italiani non se ne accorgono. Anzi pensano il contrario: che tutto vada male, per colpa del governo e della maggioranza che lo sostiene. Un fatto davvero incredibile. In questo scenario, risulta difficile, a Veltroni, "voltare pagina" subito, come ha proclamato a Torino. Dichiarare, con la sua presenza, che il Partito Democratico è davvero (un) partito. Perché la delusione è cresciuta. Tanto più dopo le attese suscitate dai congressi dei DS e della Margherita di fine aprile. Perché la speranza è una cattiva consigliera. Quando è frustrata, suscita rigetto, fra gli elettori. I quali si attendevano un'accelerazione del progetto unitario. E invece hanno assistito alle solite schermaglie tra Prodi, i leader dei partiti e gli ulivisti. Certamente fondate, certamente incomprensibili ai più. Si attendevano, i sostenitori del PD, che qualcuno prendesse l'iniziativa, con decisione. Che Veltroni, per primo, sfidasse l'oligarchia del centrosinistra. Mentre ha rotto gli indugi solo ora, spinto dai leader DS e Margherita, preoccupati del collasso del sistema. Certo, il suo esordio, a Torino, ha riscosso successo di pubblico e di critica. Questo stesso sondaggio, condotto, per una parte, "dopo" il discorso programmatico di mercoledì, ha registrato una ripresa sensibile dell'interesse presso gli elettori di centrosinistra. Che hanno concentrato ulteriormente la loro preferenza a favore di Veltroni. Indicato come leader del PD dal 61% (23% in più di due mesi fa). Avrebbe potuto, dunque (e gli sarebbe convenuto), affrontare le primarie aperte, senza alcun timore. Visto che tutti gli altri leader, da Fassino a D'Alema, dalla Finocchiaro, da Bersani allo stesso Prodi, volano basso, quasi rasoterra. Fra il 3% e l'8%. Il sindaco di Roma, dunque, oggi è un uomo solo al comando, nel PD. Ma diventare sindaco d'Italia è un'impresa ardua. Visto che, personalmente, fra gli italiani gode di un sostegno elettorale pari al Cavaliere. Ma l'Unione resta lontana dalla CdL. Per alcuni versi, il suo problema è analogo a quello di Berlusconi, nei mesi precedenti alle elezioni del 2006, quando tutti, a partire dai suoi alleati, lo davano per finito, insieme a FI e alla CdL. Anche Veltroni deve convincere gli elettori e i leader del centrosinistra che la partita non è chiusa. Che c'è ancora margine per riprendersi. Tanto più perché, contrariamente a quando governava il centrodestra, l'economia va bene, le famiglie hanno recuperato un po' di ottimismo. Però, Berlusconi era e resta padrone di FI e leader indiscusso della CdL, come emerge dal sondaggio dell'Atlante politico. Al punto da permettersi di indicare, alla successione, una ragazza, a cui solo l'1% degli elettori della CdL affiderebbe la leadership. Come dire: dopo di me il nulla. Veltroni, invece, non ha ancora la guida del PD. Anche perché il PD per ora non c'è. I sondaggi che attribuiscono all'effetto-Veltroni una crescita elettorale del PD fino al 10%, per questo, non misurano il presente, ma ipotecano il futuro. Un po' come il sondaggio americano esibito da Berlusconi due mesi prima del voto. Che prevedeva uno scenario divenuto, poi, molto vicino al vero. Ma, per ora, tutto da costruire. Veltroni, per ora, può contare su un ampio consenso personale. E sulla voglia di cambiare, che, nonostante tutto, è ancora estesa, nel centrosinistra. Tra gli elettori del PD, infatti, 7 su 10 parteciperebbero alle primarie per eleggere l'assemblea costituente, 8 su 10 per eleggere il leader del partito. In entrambi i casi, quasi il 10% in più rispetto allo scorso aprile. Disposti, 6 su 10, ad accettare, come due anni fa, di trasformare le primarie nel rito che sancisce il consenso al candidato predestinato. In nome dell'unità. Per paura di ulteriori lacerazioni. Tuttavia, l'intenzione di iscriversi al PD è scesa, anche se di poco: dal 31% al 27%. Segno, probabilmente, di un crescente distacco dal partito tradizionale, fondato sull'appartenenza e sull'apparato. A favore di un rapporto meno istituzionale, più diretto e personalizzato, con il leader. Ma, al tempo stesso, questa minore adesione "formale" al PD suggerisce un pregiudizio scettico nei confronti dei partiti che sopravvivono. Gruppi dirigenti chiusi, che non riescono a spezzare il legame con il passato. Veltroni, se davvero vuole avere e dare speranza, a sé, al PD e al centrosinistra: deve davvero "voltare pagina". Abbandonare questo gruppo dirigente. Da cui, egli stesso, proviene. Di cui egli stesso ha fatto parte. Perché è difficile costruire il nuovo senza "sopprimere" il vecchio. Che è in noi.
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