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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL REGIME MEDIOCRATICO
[La Repubblica, 13 luglio 2008]

Da Silvio Berlusconi a Sabina Guzzanti, passando per Beppe Grillo: il percorso della democrazia italiana sembra essersi compiuto. Oltre la democrazia del pubblico e dell'opinione. Fino alla "mediocrazia".
La definiamo così non per evocare "mediocrità", che per noi è una virtù democratica, quando riassume passioni timide, distacco, moderazione. Intendiamo, in questo modo, echeggiare il potere dei "media". Che hanno imposto alla politica non solo il linguaggio, lo stile: anche le regole e i modelli di organizzazione. Infine, gli attori. Naturalmente, sappiamo che l'intreccio fra media, comunicazione e politica ha una storia lunga e globale, costellata di esempi illustri e per nulla "mediocri". Basti pensare a Ronald Reagan, modesto attore in età giovanile, ma presidente Usa fra i più importanti del dopoguerra. Oppure, a Terminator, al secolo Arnold Schwarzenegger, attuale governatore della California. Però in Italia l'intreccio risulta più stretto che altrove. Si è realizzato in modo tanto rapido che quasi non ce ne siamo resi conto. Era l'inizio dei burrascosi anni Novanta. Dai partiti di massa, ideologici, organizzati, radicati sul territorio si è passati a partiti senza società, organizzati al centro e fragili in periferia. Ma soprattutto: personalizzati, influenzati dalle logiche della comunicazione e del marketing. Una sorta di populismo mediatico, il cui inventore indiscusso e insuperato è Silvio Berlusconi. Creatore di un partito di successo, Forza Italia, ma, al tempo stesso, della seconda Repubblica. Di cui è divenuto il principale riferimento e discrimine ideologico: da accettare o rifiutare. Senza riserve. Padrone del principale gruppo televisivo privato. Ha imposto e "venduto" sul mercato politico se stesso e il proprio partito come un prodotto. La cocacola o il ferrero-rocher. Dopo di lui, la televisione è divenuta il principale luogo di partecipazione e di identità politica.
Ancora oggi, d'altronde, gli elettori di centrodestra preferiscono l'informazione di Mediaset, gli elettori di centrosinistra quella della Rai. Per tradizione e fedeltà. Anche se le differenze fra le reti sono ormai sottili e l'informazione di Mediaset, in alcuni casi, è più di "sinistra" di quella offerta dalla Rai. Non è detto - e, a nostro avviso, non è vero - che la tivù sia il luogo principale - se non l'unico - in cui si formano (peggio: si plasmano) le opinioni degli elettori. Però è una convinzione radicata e condivisa, soprattutto nel ceto politico. Senza distinzione di parte e di partito. Anche nel centrosinistra. Dove i partiti tradizionali, usurati dal punto di vista ideologico e organizzativo, hanno inseguito il modello inventato da Berlusconi, spostando il loro baricentro dal territorio al video, dall'organizzazione alla personalizzazione, dalle ideologie al marketing, dalle idee agli slogan. In pochi anni, diventa spettacolo dove si rappresenta lo spettacolo della politica.
Il centrosinistra, in questa scena, si è tuffato a capofitto. Sconta il problema iniziale dell'inesperienza. Ma si è abituato in fretta, affollando ogni rete e ogni programma. A ogni ora. Da "Uno Mattina" alle "Notti" di Vespa e Mentana. La competenza del sistema comunicativo è, quindi, divenuta un requisito importante per la carriera politica. Non a caso i consiglieri più influenti di Berlusconi sono due professionisti del sistema mediatico: Gianni Letta e Giuliano Ferrara. Anche il centrosinistra si è rivolto all'ambiente del giornalismo televisivo, da cui ha selezionato, con alterno successo, parlamentari italiani ed europei, ma anche sindaci e governatori.
L'immagine e la confidenza mediatica hanno pesato anche nella scelta del candidato premier. Anche per queste ragioni Rutelli nel 2001 e lo stesso Veltroni nel 2008 sono stati chiamati a sfidare Berlusconi. Certo, entrambi politici di (medio o) lungo corso, provenivano da un'esperienza amministrativa di successo, come sindaci di Roma. Veltroni, inoltre, è segretario del Pd, votato alle primarie da milioni di elettori. Tuttavia, in entrambi i casi, la capacità di comunicare ha contribuito in misura importante alla loro scelta.
La parabola della mediocrazia, a sinistra, è precipitata negli ultimi anni, con lo sconfinamento dei comici e degli attori satirici: dai teatri e dagli schermi alle piazze. Da attori di satira ad attori politici, tout-court. È il caso di Sabina Guzzanti, esploso in occasione della recente manifestazione dei girotondi, a Piazza Navona. Di cui è stata protagonista assoluta. Insieme a Beppe Grillo, leader di un movimento d'opinione, che ha assunto misure di massa e attraversa tutti i partiti. L'ascesa politica dei comici e dei satirici, a sinistra, ha diverse ragioni. Vi ha contribuito, per primo, Silvio Berlusconi, che li ha indicati - e legittimati - come "nemici". Decretandone, in alcuni casi, l'espulsione dai media. Ma gli attori satirici sono divenuti leader politici soprattutto perché trascinati dalla deriva mediatica del centrosinistra. D'altronde, sul piano della comunicazione, in tivù ma anche nelle manifestazione pubbliche, Pecoraro Scanio, Diliberto o Franceschini come possono competere con Sabina Guzzanti? O con protagonisti della scena teatrale come Moni Ovadia, il nobel Dario Fo o Franca Rame (peraltro, già parlamentare)? Per non parlare di Beppe Grillo. Non c'è partita. C'è, infine, la difficoltà di fare opposizione. Visto che la sinistra radicale è scomparsa e quella riformista appare fin troppo timida. Allora le piazze si trasformano in teatri dove si rappresenta lo spettacolo dell'opposizione "indignata". Perché questi sanno (e debbono) fare i comici e i protagonisti della satira. Scrutare e denunciare i vizi della politica. Del nemico e - a maggior ragione - dei presunti amici.
Per questo a Piazza Navona, martedì scorso, non poteva andare diversamente. Sabina Guzzanti e Beppe Grillo sanno suonare le corde del sentimento e del risentimento popolare. Sanno fare scandalo e notizia. Interpretare al meglio lo spettacolo dell'indignazione. Altro che Di Pietro e Furio Colombo. Tuttavia non si tratta solo e semplicemente di satira, come pretenderebbero alcuni fra gli organizzatori e fra i leader (sedicenti) politici (veri) presenti alla manifestazione. Troppo semplice. Troppo facile. Lo ha chiarito bene Sabina Guzzanti, nella lettera inviata al Corriere della Sera: "Chiunque parli a un pubblico fa politica". Non solo, ma "il discorso di un comico può essere molto più politico di quello di un politico". Ha ragione. È il suo intervento ad aver impresso il segno politico alla manifestazione di Piazza Navona. È lei la protagonista di quell'avvenimento.
Nella mediocrazia, d'altronde, il centro della scena è, inevitabilmente, occupato dai "mediocrati". Con effetti spiacevoli e sfavorevoli per le componenti riformiste del centrosinistra. 1) Perché la buona satira non è riformista, ma rivoluzionaria. Non accetta la mediazione: è intransigente e, oggi, antipolitica. Ma l'antipolitica scoraggia e delude soprattutto gli elettori di sinistra. 2) Perché fra Berlusconi, Grillo e la Guzzanti; fra Berlusconi, Veltroni e Rutelli: in un regime mediocratico, non c'è partita. Il primo è il padrone, l'impresario. Gli altri: attori o apprendisti. D'altronde, nell'era della "democrazia del pubblico", l'unico a battere Berlusconi, per due volte - o meglio: una volta e mezza - è stato Romano Prodi. Anticomunicativo e antitelevisivo. Perché i media, l'immagine, la tivù, in politica, contano, ma non sono tutto. C'è bisogno d'altro. Presenza nella società, organizzazione. Identità. Speranza. Ma questa sinistra, divisa fra coraggiosi e indignati, fra dialogo senza opposizione e opposizione senza dialogo: rischia di rimanere solo senza speranza.
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