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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
È MAGGIORANZA IL PARTITO DEL PALLONE
[La Repubblica, 30 agosto 2008]

Oggi riparte il campionato. Anche se, in realtà, il gioco del calcio non si è mai fermato. Prima gli europei, poi le olimpiadi. E, ancora, i tornei amichevoli, le esibizioni, le sfide. I preliminari delle coppe. Ormai, è un flusso continuo. Il pallone continua a (s)correre sugli schermi, sui giornali, nei bar, nei luoghi di lavoro e nei nostri discorsi quotidiani. Ha smesso di essere un gioco da tanto tempo. E' uno spettacolo, un affare. Entrambe le cose insieme. Anche fuori dal campo e dalle partite. Gossip senza fine. Politica a tempo pieno. Ne è testimonial massimo Silvio Berlusconi, pluripresidente: del governo, del Milan, di Mediaset, del Popolo della Libertà che verrà e, intanto, di Forza Italia. Difficile scordare la politica, quando si guarda il calcio. In tribuna: leader politici di ogni tendenza e di ogni partito. Nelle curve: gruppi di estremisti (soprattutto, anche se non solo) di destra usano lo stadio come un palcoscenico di violenze verbali e fattuali, da cui traggono visibilità e identità. Le iniziative delle istituzioni sportive e di governo ne hanno limitato solo in parte l'impatto, che si è trasferito intorno agli stadi, lungo i percorsi autostradali, nelle città. Assumendo forme e sembianze assimilabili alla guerriglia eversiva. Inoltre, da tempo è dato per scontato che "la palla non è rotonda" (come recita il titolo di un numero di "liMes" pubblicato nel luglio 2005). Pochi pensano che, sul campo, vincano i "migliori". Semmai, i più ricchi e i più furbi, come ha suggerito lo scenario emerso da "Calciopoli". Tuttavia, le inchieste e gli interventi della giustizia sportiva non sembrano aver sopito il clima di sospetto dei tifosi (e di quelli che non lo sono). Basta ricordare le polemiche sugli arbitraggi e sui risultati di molti incontri, dello stesso campionato, che hanno accompagnato la stagione recente.
Difficile, per questo, non provare un po' di sorpresa di fronte al sondaggio condotto da Demos per "la Repubblica", pubblicato oggi. Il quale sottolinea, fra l'altro, come il popolo dei tifosi, in Italia, sia cresciuto (di circa 5 punti percentuali) rispetto a un anno fa. Per cui, oggi, un italiano su due - metà della popolazione - si definisce "tifoso". Nonostante l'oggetto della passione sia difficile da considerare appassionante. Nonostante Berlusconi, Moggi, Moratti, Guido Rossi, le svastiche, le veline, i campioni panciuti più bravi in discoteca che sul campo, i gol invisibili, gli arbitri venduti, i passaporti falsi e i bilanci truccati, gli schermi pieni e gli stadi vuoti, le moviole, gli europei perduti, le olimpiadi anche e le coppe europee pure quelle, i salotti televisivi con la stessa compagnia di giro a fare avanspettacolo. Nonostante tutto e tutti, ma proprio tutto e tutti, i tifosi militanti continuano a militare, mentre crescono sensibilmente i tifosi caldi ma meno accesi e quelli tiepidi. Non è facile spiegare tanta passione verso uno sport circondato da vizi e sospetti. Una possibile interpretazione è che il calcio appaia, agli occhi disillusi degli italiani, uno specchio fedele del mondo intorno a loro. Dove contano il potere, i soldi, l'immagine, la furbizia. Un riassunto dell'Italia che vediamo, viviamo - e magari non piace ma si sa le cose vanno così e allora perché scandalizzarsi... L'autobiografia di un paese rassegnato. Che proprio nel calcio trova uno sfiato alla propria frustrazione e alla propria delusione. D'altra parte, alcuni dati dell'indagine fanno riflettere. I "tifosi" non sono impolitici, ma presentano livelli di interesse politico molto più alti - e quasi doppi - rispetto alla media della popolazione. Esprimono, inoltre, un grado di coinvolgimento partitico maggiore rispetto agli altri. Al tempo stesso, però, appaiono anche fra i più arrabbiati. Per esempio: il 48% dei "tifosi militanti" esprime molta fiducia in Beppe Grillo, mentre fra i "non tifosi" questa componente scende al 38%. Questa coabitazione di interesse e rifiuto politico solleva un dubbio, fondato non su basi empiriche ma su impressioni di vita quotidiana. Il sospetto che la passione per il calcio cresca sulla delusione politica. Sulla frustrazione generata dai partiti e dalle istituzioni, che si rispecchia negli stadi. E riflette l'immagine di un paese in curva. Abituato all'invettiva, alla sfiducia per default, all'insulto istituzionalizzato, contro tutti. Un paese dove la frattura tra forzisti e comunisti è rimpiazzata da quella tra bianconeri, nerazzurri, giallorossi e rossoneri. Un paese che ha bisogno di "nemici". Metà del tifo è "contro"; odia gli avversari almeno quanto ama i propri eroi. Accetta gli arbitri solo per insultarli.
A sinistra questo problema è particolarmente acuto. Perché i partiti hanno cambiato nome e identità, senza produrre i risultati attesi. Il Pd ha perso le elezioni; la sinistra radicale è scomparsa dal Parlamento. Così non resta che il calcio. Roma, Juve, Fiorentina o un'altra squadra su cui trasferire la passione politica e l'identità perduta. I più giovani, d'altronde, manifestano una "fede" calcistica molto più forte di quella partitica (e perfino di quella religiosa, come mostra un'indagine di Demos-coop del 2005).
Rammento, al proposito, quando, alcuni anni fa, un collega, invitato a cena da noi, per rompere il ghiaccio, chiese al più giovane dei miei figli: "Ma tu e tuo fratello andate d'accordo?". Risposta: "No, lui è comunista e io del Chievo". Oggi, la passione di Nicola per il Chievo non si è attenuata. Mentre suo fratello Giovanni è divenuto meno comunista e più bianconero.

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