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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL PARTITO DI FINI VALE ALMENO IL 6%. MA UN ALTRO 38% POTREBBE VOTARLO
[La Repubblica, 25 aprile 2010]

La rottura tra Berlusconi e Fini è avvenuta in modo spettacolare. E irreparabile. Come la coabitazione all'interno dello stesso partito e, perfino, della stessa coalizione. Anche se, in politica, non c'è nulla di irreversibile.

Dipende dagli interessi e dalle convenienze. Basta rammentare i rapporti tra Berlusconi e Bossi. Spezzati e ricuciti, dal 1994 al 2000. Per reciproca necessità. E utilità. La questione intorno a cui ruota il futuro del Presidente della Camera, ma anche della legislatura, è, dunque, principalmente una. Quanto può costare, al centrodestra, la defezione di Fini? E, in parallelo, quanto può contare - e costare - la sua presenza e permanenza nel PdL? Il sondaggio condotto da Demos nei giorni scorsi offre alcune indicazioni utili al proposito.

Anzitutto, lo spazio del partito di Fini. Circa il 6% degli elettori afferma che lo voterebbe sicuramente. (Una stima analoga a quella fatta da Renato Mannheimer). Un settore molto più ampio (38%) lo "potrebbe" votare. Si tratta di un'area significativa, che incrocia diversi segmenti del mercato politico-elettorale, anche se gravita, principalmente, nel centrodestra. Il 26% degli elettori "certi" e la stessa quota di quelli "possibili", infatti, attualmente votano per il Pdl. Ma un altro 20% dei "certi" e una quota limitata di "possibili" votano per la Lega.

Il che non deve stupire. Un'ampia componente di elettori del centrodestra ha, da sempre, considerato la Lega un'alternativa a FI, prima, e al Pdl, poi. Un modo per manifestare la propria distanza da Berlusconi e dal governo, senza votare per gli "altri". Tuttavia, l'offerta politica di Fini attira consensi anche da centrosinistra e in particolare dal Pd. Ma attrae, soprattutto, gli elettori indecisi e meno coinvolti (un terzo del totale).

In definitiva, metà degli elettori (che si dicono) "certi" di votare per il partito di Fini (cioè, il 3% dell'elettorato totale) e un terzo di quelli "possibili" (circa il 13% del totale) sono di centrodestra; in particolare del Pdl, ma anche della Lega. Sufficienti a spostare gli equilibri politici a sfavore della coalizione guidata da Berlusconi e Bossi.

La posizione di Fini, tuttavia, oggi è rafforzata da tre elementi: a) il ruolo istituzionale di Presidente della Camera; b) la collocazione - tuttora - interna al centrodestra e al Pdl; c) la conoscenza, non ancora estesa a tutti gli elettori, della rottura con Berlusconi. Anche per questo, Gianfranco Fini resta il leader più stimato dagli elettori. Ma anche quello i cui consensi personali sono calati maggiormente: quasi 10 punti, nell'ultimo anno. Se confrontiamo l'evoluzione del giudizio su Fini in base al voto e alla posizione politica degli elettori, negli ultimi anni, la spiegazione di questa tendenza appare chiara. La quota degli orientamenti positivi nei confronti di Fini, negli ultimi due anni, tra gli elettori del Pdl scende, infatti, dall'89% al 67%.

Si attesta, quindi, allo stesso livello di Bossi. Leader di un altro partito, per quanto alleato. Ma forse anche Fini, nel Pdl, appare a molti il leader di un altro partito. E non necessariamente alleato. La stessa tendenza emerge se si considera la posizione nello spazio politico: fra gli elettori di destra, il Presidente della Camera cala dall'83% al 55% e tra quelli di centrodestra dall'87% al 65%. In parallelo, il suo consenso sale tra quelli di centrosinistra. Di conseguenza, l'elettorato che gli è più favorevole oggi è quello di centro: 70%.

Il Presidente della Camera beneficia, dunque, di una posizione di rendita, che appare vantaggiosa e insidiosa, al tempo stesso. à figura istituzionale, leader di centrodestra, ma anche di opposizione. Apprezzato (in misura calante) dagli elettori di centrodestra, ma anche (in misura crescente) da quelli di centrosinistra. Come appare chiaro se si osserva la mappa che raffigura la posizione dei leader politici, nella percezione degli elettori. Fini si colloca, infatti, vicino al centro, accanto a Casini. In fondo a destra: Berlusconi e Bossi. Pressoché appaiati. Quasi un "unicum". Nel settore opposto, Bersani e Di Pietro. Non lontani da Grillo. Le diverse anime dell'opposizione di (centro)sinistra.

Da ciò i problemi.

Per Fini. Il quale, come abbiamo detto, può svolgere un'azione corsara. Raccogliendo consensi a destra e al centro, perfino a sinistra. Opposizione e oppositore. Dentro il Pdl, nel centrodestra. Ma anche in ambito nazionale. Fini. Anti-berlusconiano e anti-leghista, in un sistema politico in cui Berlusconi e la Lega costituiscono i due principali fattori di divisione e identità.

Per la stessa ragione, però, egli appare esposto alla concorrenza degli altri attori politici. Di destra e di centro. Soprattutto se e quando venisse "espulso" dal Pdl e, ancor di più, dal ruolo istituzionale che ricopre.

Tuttavia, la posizione di Fini può diventare pericolosa anche per gli altri attori politici. Per il centro e, ancor più, il centrosinistra. Che rischiano di venire oscurati da quel dito puntato contro il Premier (assoluto). Dall'accesa polemica lanciata dal co-fondatore del Pdl contro la Lega "egoista" e padana. L'opposizione di Fini, però, appare incompatibile, anzitutto, con la natura del Pdl, che è un partito "personale". La versione allargata di FI. E non può sopportare, all'interno, un'alternativa "personale".

Infine, la sfida di Fini è inaccettabile per la Lega di Bossi. Che rischia di vedersi sottrarre il ruolo di opposizione "nel" governo. Una ragione importante del successo leghista, in passato e nel presente. L'assimilazione Lega-Pdl, Bossi-Berlusconi. Il Giano bifronte che governa il Paese. Una rappresentazione intollerabile per Bossi, trasformato in un leader "romano". E, simmetricamente, per Berlusconi, ridotto a gregario del Nord.

Difficile che possa durare a lungo tutto ciò. Questo Pdl. Questo centrodestra. Questa legislatura.


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