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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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L'ARCIPELAGO DELLA LEGA NELL'ORBITA DI BERLUSCONI [La Repubblica, 16 gennaio 2012]
La Lega è sempre stata abile ad agitare la bandiera del governo e dell'opposizione, al tempo stesso. Ne ha fatto un fattore di successo. Ma ora che dal governo è passata all'opposizione sembra soffrire. Costretta a recitare una parte cui non è abituata. Che non le è più congeniale.
Anche per questo l'insofferenza del gruppo vicino a Bossi - o che se ne fa scudo, per promuovere i propri interessi - è esplosa, nel corso dell'ultima settimana. Contro Roberto Maroni, il leader che ha spinto il partito lungo la strada dell'opposizione. "La Lega: unica opposizione al governo Monti", come ha scandito lo stesso ieri sera a Che tempo che fa.
Al governo, ma anche al Pdl. E, ovviamente, a Berlusconi. Che è lo stesso. Certo, il tentativo di emarginare Maroni dal partito - in pratica: di metterlo fuori - impedendogli di partecipare a incontri e iniziative sul territorio risponde anche alla "guerra di successione". Che nella Lega, oggi, appare più aspra rispetto a quella di "secessione".
Tuttavia, il problema principale del Carroccio, in questa fase, è di tipo politico piuttosto che personale. Come tornare alla "lotta" dopo tanti anni di "governo"? Con un gruppo dirigente - centrale e locale - che non vi è più abituato? Come riscoprirsi anti-berlusconiani, dopo tredici anni di fedele alleanza con Berlusconi? A una parte significativa del gruppo dirigente leghista, infatti, la strategia di opposizione risulta sopportabile finché viene esercitata contro il governo tecnico. E il suo sponsor: il Presidente della Repubblica. Finché non entra in collisione con Berlusconi e il Pdl. In modo diretto.
Votare contro la manovra finanziaria e contro le politiche del governo, d'altronde, non produce effetti concreti. La maggioranza parlamentare di cui dispone il governo tecnico è larga. Non solo: la Lega fa apertamente quel che molti parlamentari ed elettori del Pdl pensano oppure dicono, senza poter far seguire i fatti alle parole.
Ma il discorso cambia sostanzialmente quando entrano in gioco gli interessi diretti di Berlusconi e della sua cerchia di fedeli. Come nel caso di Cosentino. Allora la scelta della Lega e di Maroni di fare opposizione "sul serio" diventa lacerante. E insostenibile. Non solo per Berlusconi, ma anche per una parte della Lega. Da ciò il dietrofront di Bossi, costretto dal Cavaliere a cambiare posizione, lasciando "libertà di coscienza" ai leghisti in occasione del voto in Parlamento. Cioè: permettendo - e indicando - loro di agire diversamente dalla linea imposta da Maroni in Commissione.
Per spiegare questo rovesciamento di atteggiamento si è evocata la capacità di "ricatto" esercitata da Berlusconi nei confronti di Bossi. Tuttavia, non c'è bisogno di richiamare pressioni e interessi personali per spiegare il sostegno di Bossi e di una parte dei parlamentari leghisti alle richieste di Berlusconi. Il fatto è che la Lega appare, da tempo, un'isola dell'arcipelago berlusconiano. La corrente nordista e antistatalista del forza-leghismo (come lo definì Edmondo Berselli).
Un partito che, negli ultimi anni, ha puntato sulla polemica anti-europea e, soprattutto, sulla questione della sicurezza e dell'immigrazione. Riuscendo a crescere molto e in fretta, dal punto di vista elettorale e istituzionale. È la "terza ondata" (come l'ha definita Roberto Biorcio), durante la quale la Lega, attestata intorno al 4% nel 2006, ha scavalcato l'8% alle politiche del 2008, il 10%, alle europee del 2009 e il 12% alle regionali del 2010.
Di conseguenza, la Lega si è inserita - in modo ampio e rapido - nei luoghi di governo, a livello locale e centrale. Ma anche nei consigli di amministrazione e nelle direzioni di enti statali e locali, fondazioni bancarie, aziende a partecipazione pubblica. È, così, cresciuto un "ceto politico" leghista meno sensibile al richiamo dell'identità e dei valori. E più attento alla logica degli interessi.
Tanto che Maroni, ieri sera, a Fabio Fazio che gli chiedeva quale idea ispirasse la sua azione, ha evocato "la Lega degli onesti". Contrapposta alla "Lega degli intrallazzi e dei conti all'estero". Quella attuale, insomma. Corrotta dal potere.
È, tuttavia, difficile rassegnarsi all'opposizione per un partito che si è insediato - e abituato - al governo, in molte parti del Nord - e ora anche in alcune zone del Centro. È, quindi, difficile, rompere con il Pdl. Con cui è alleata da 13 anni. Senza perdere capacità competitiva alle elezioni. A partire dalle prossime elezioni amministrative (parziali) di primavera. Alle quali, secondo Maroni, (lo ha sostenuto ieri sera da Fazio) la Lega dovrebbe correre da sola. Coerentemente con la sua attuale posizione politica.
La "terza ondata" ha, dunque, allargato le distanze fra elettori, militanti e dirigenti. Ha favorito il coesistere di un linguaggio di opposizione con le pratiche di (sotto)governo. Ha, inoltre, reso inattuale e inadeguato il modello carismatico di massa, su cui il partito si è retto fin dalle origini.
Perché il leader storico, Umberto Bossi, stenta ormai a suscitare passione e identificazione personale. La sua malattia gli rende più difficile comunicare. Tanto più controllare l'organizzazione del partito. Il suo carisma non è più indiscusso né indiscutibile, come un tempo. La sua dipendenza dalla cerchia di politici e familiari che lo circonda appare evidente. E ne indebolisce l'immagine. Mentre è cresciuta la popolarità di Roberto Maroni. (Tanto più dopo l'operazione censoria, di questi giorni.) Anche se non al punto di oscurare l'immagine del Capo.
Dai sondaggi di Demos (giugno-novembre 2011) emerge , infatti, come, il leader preferito, per il 33% degli elettori leghisti, sia Umberto Bossi, per il 29% Roberto Maroni. Tutti gli altri leader, praticamente, non contano. (Calderoli, Zaia, Cota e Salvini ottengono, ciascuno, circa il 3% di preferenze). Da ciò l'impossibilità di imporre "una" leadership.
Così, al gruppo degli amici e dei familiari di Bossi non è possibile emarginare Maroni, come si è visto in questa occasione. Ma è difficile anche per Maroni subentrare a Bossi, senza il sostegno di Bossi - o, peggio, contro di lui. D'altronde, gran parte dei sostenitori di Maroni (9 su 10) nutre fiducia in Bossi. Una conferma, come ha osservato ieri Gad Lerner su questo giornale, che si tratta di due figure non alternative e competitive, ma complementari. Il populista e il governativo. Costretti a recitare in ruoli innaturali e contraddittori.
Bossi, la maschera "populista", recita la parte del partner fedele e leale di Berlusconi. Verso cui è cresciuta l'insofferenza dei militanti. Mentre Maroni, il "governativo", recita la parte di leader della "Lega d'opposizione" - e, soprattutto, "di lotta".
È francamente difficile immaginare che orientamenti, componenti, leader così diversi e contrastanti possano coesistere - ancora a lungo - in queste condizioni. Sotto lo stesso tetto.
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