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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
SE ANCHE IL TIFO DIVENTA UNA PASSIONE TRISTE
[La Repubblica, 22 febbraio 2016]

Per molto tempo, il principale motivo di passione, per gli italiani, è stata la politica. L'ideologia, i partiti, i leader hanno coinvolto le persone e suscitato senso di appartenenza. Anche in senso "opposto". Perché anche l'antipolitica, in fondo, è una sorta di ideologia politica. Su un altro e diverso piano, le passioni pubbliche sono state promosse dallo sport. E, soprattutto, dal calcio. Che ha sempre offerto luoghi, colori e bandiere alle identità personali. Soprattutto e tanto più negli ultimi vent'anni.

Da quando Silvio Berlusconi, imprenditore pubblicitario e mediatico, presidente di Mediaset e del Milan, è "sceso in campo". E ha incrociato tifo politico e calcistico. In modo reciproco. Ora, però, questo legame si sta logorando. La politica ha perso credibilità . Più che appartenenza, suscita distacco e indifferenza. Così è rimasto solo il calcio a riscaldare il sentimento degli italiani. Eppure, anche questa passione sembra in declino. Come la presenza degli spettatori negli stadi. Mediamente vuoti, per quasi metà (come ha rilevato Enrico Currò su Repubblica, qualche settimana fa). D'altronde, ormai si assiste allo spettacolo del calcio sempre più e soprattutto sui media. In televisione. Sulle reti satellitari e digitali. Che trasformano ogni casa in uno "stadio personale". Tuttavia, da qualche tempo, anche gli "stadi" mediali si stanno svuotando. Questa è, almeno, l'impressione che si ricava, se consultiamo i dati di ascolto di Sky e Mediaset Premium (fonte: Auditel). Negli ultimi anni, il pubblico del campionato di serie A, infatti, risulta in calo - costante - in entrambe le pay tv. In egual misura.

Fra la stagione 2012-13 e quella 2013-14 il numero di spettatori dei due network, cumulati e considerati insieme, diminuisce, complessivamente, di quasi 10 milioni di unità. Il 3% in meno. In quella successiva, 2014-15, scende ancora di più. Di altri 22 milioni. Cioè, di un ulteriore 6%. Complessivamente, dal campionato 2012-13 a quello 2014-15 - e quindi in tre stagioni - la platea televisiva di Sky e Mediaset Premium si è ridotta del 4% medio annuo e complessivamente di 32 milioni di unità. Naturalmente, le cause di questo sensibile ridimensionamento sono diverse. Alcune riguardano i canali e i media. Faccio riferimento, in particolare, al peso assunto da internet. Che, tuttavia, spiega solo in minima parte un calo tanto rilevante. Le ragioni che dis-incentivano la visione del calcio sulle pay tv sono, invece, altre e diverse. Riguardano lo spettacolo in sé. Il campionato, infatti, ha perso, da anni, appeal, insieme a molti campioni. Che sono andati altrove. In altri campionati di altri Paesi. Mentre alcuni protagonisti, amati dai tifosi (ieri Del Piero e Pirlo, oggi Totti, domani chissà...), sono partiti, oppure finiscono in panchina. Così, l'interesse suscitato dagli incontri di vertice della Premier oppure della Liga ormai è superiore rispetto a gran parte degli incontri che si svolgono nei nostri stadi. Il calcio italiano, invece, appare un mercato in "svendita". Dove entrano imprenditori americani, thailandesi, indonesiani... Peraltro, il dominio della Juve - da alcune stagioni - ha raffreddato le passioni. Anche se il campionato in corso appare assai più combattuto. Nella prima parte, con la Juve in seria difficoltà, l'Inter ha preso e mantenuto la testa. Mentre, in seguito, la risalita impetuosa dei bianconeri e le ottime prestazioni del Napoli hanno reso interessante la competizione. Che appare ancora incerta e aperta. Visto che, dopo il sorpasso della Juve, una settimana fa, stasera il Napoli potrebbe riconquistare la testa. D'altronde, secondo i dati dell'Osservatorio sul tifo di Demos-Coop (settembre 2015), la Juve è la squadra con il maggior numero di tifosi (35%), il Napoli la quarta (10%), subito dopo le due milanesi.

Eppure il declino degli ascolti non si arresta. Neppure nel campionato in corso. Prosegue, invece, e sembra perfino aumentare. Considerando le prime 25 giornate, il pubblico cala dell'11%. Cioè, oltre 25 milioni di spettatori in meno. Certo, alcuni incontri suscitano ancora grande interesse. Pari e talora maggiore - anche se di poco - rispetto agli anni precedenti. La partita di verti- ce fra Napoli e Juventus, giocata sabato 13 febbraio, nonostante la concomitanza con la serata finale del festival di Sanremo, ha totalizzato 3 milioni 670 mila spettatori. Circa 1 milione e 100 mila di più dell'andata. Peraltro, il declino del pubblico non riguarda la platea di tutte le squadre, considerate insieme. Coinvolge, invece, le principali squadre. Juventus, Roma, Napoli e le due milanesi: dal campionato 2011-12 a quello attualmente in corso (2015-16) perdono tutte ascolti. Dai 9 milioni e 700 mila, fatti osservare dal Milan, a 1 milione, circa, nel caso dell'Inter. Quest'ultima, peraltro, è l'unica squadra ad aver guadagnato in modo significativo, durante l'attuale campionato: oltre 5 milioni di spettatori. Il Milan, d'altronde, paga il declino degli ultimi anni, segnato dal trasferimento dei suoi campioni altrove (soprattutto al Psg). Mentre l'Inter ha beneficiato del campionato di vertice condotto fino ad alcune settimane fa. Perché la classifica, come si è detto, fa ascolti. Ma, al tempo stesso, li può deprimere. Assistere a partite accese, giocate da campioni, in un campionato combattuto ed equilibrato: aiuta. Alimenta l'attenzione del pubblico. Per questo gli incontri di vertice della Premier oppure della Liga suscitano un interesse superiore rispetto a gran parte delle partite che si svolgono nei nostri stadi. Semivuoti. Tuttavia, il calo che si osserva su Sky e su Mediaset Premium - in misura molto simile - suggerisce anche altre ipotesi. In particolare, che il declino del pubblico non dipenda (sol)tanto dall'interesse, ma anche dalla credibilità - molto bassa dello spettacolo e dei suoi attori. Accostati a scandali e sospetti - sempre più frequenti. Un'idea rafforzata dai dati dell'Osservatorio di Demos- coop (settembre 2015). Il 53% dei tifosi ritiene, infatti, che il campionato, rispetto a 10 anni fa, sia maggiormente condizionato dalle scommesse, il 42%: dalla criminalità e dalla corruzione. Per contro, solo il 15% pensa che sia divenuto più credibile. Il 45%: di meno. Così, per citare Spinoza, anche nel calcio è giunto il tempo delle "passioni tristi". O, peggio, senza passioni. E rischia, per questo, di annunciare un tempo molto triste. Per gli "interessi" (economici) delle società calcistiche e delle reti tv. Ma anche per noi. Perché vivere senza passioni e senza bandiere, politiche e perfino calcistiche: non è un bel vivere.

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