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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
IL REFERENDUM ANTIPOLITICO
[La Repubblica, 21 marzo 2016]

Il referendum confermativo previsto nel prossimo autunno ha un significato importante. Anzi, di più. Per la questione che solleva: ri-vedere la Carta Costituzionale. Anzi, di più: rivedere il sistema delle istituzioni della nostra democrazia rappresentativa. In particolare: trasformare i poteri e la composizione del Senato. Ma il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha attribuito al referendum anche un altro significato. Politicamente critico. Fornire al capo del governo l'investitura popolare di cui ancora non dispone. Perché Renzi governa, con una maggioranza incerta, in un Parlamento di cui non fa parte. In quanto non è stato eletto. Renzi: è il segretario di un partito che, al tempo delle elezioni politiche del 2013, era guidato da un altro leader. Bersani, oggi a capo dell'opposizione. Mentre Enrico Letta, il premier "rimpiazzato" da Renzi, oggi fa il professore a Parigi. A Sciences Po. Certo, nel frattempo, il segretario-premier ha (stra)vinto le primarie e, nel 2014, le elezioni europee. Ha, quindi, modellato il partito - e il governo - a propria immagine. Li ha personalizzati. E oggi guida un partito e un governo entrambi "personali". Marchio di un'epoca che Mauro Calise ha definito "Democrazia del leader" (titolo del suo recente saggio edito da Laterza). Ma il problema della legittimazione, per Matteo Renzi, resta. Tanto più se egli intende riscrivere le regole e l'impianto istituzionale della Repubblica. Ma, al di là di queste considerazioni, politiche e istituzionali, peraltro importantissime, la questione esisterebbe comunque. Perché è il premier-segretario, per primo, a porla a se stesso. Per ragioni di auto-stima. Meglio ancora, di auto-riconoscimento. Istituzionale. E non solo. Renzi sopporta a fatica il ruolo di Sindaco (d'Italia) non eletto. Così, ha scelto l'occasione di un passaggio determinante del suo percorso di governo per chiedere un'investitura. Per tradurre un referendum "costituzionale" in un referendum sulla sua persona. In fondo, lo ha riconosciuto egli stesso, in modo aperto. Quando, annunciando il referendum, ha chiarito che, se non venisse approvato, si dimetterebbe. Così, anche se il quesito referendario non riguarda la sua persona, gli effetti investirebbero direttamente il presidente-segretario. In quanto è difficile che questa implicazione non venga valutata, al momento del voto.

E ciò carica di significati diversi da quello originario una consultazione che assumerà effetti determinanti, per la nostra democrazia. Tuttavia, è probabile - anzi, di più - che il premier abbia deciso di agire in questa direzione a ragion veduta. Certo che la prospettiva di superare il bicameralismo paritario disponga di una larga maggioranza. Così da tradurre il consenso alla riforma costituzionale in consenso personale.

I sondaggi svolti, al proposito, offrono indicazioni contrastanti. Ma la rilevazione condotta da Demos, nelle scorse settimane, sembra confermare le previsioni - e le speranze - di Renzi. Una larga maggioranza, intorno al 50%, afferma, infatti, che voterebbe "sì". Oltre il doppio di chi esprime un'intenzione opposta. Mentre gli incerti - dichiarati - sono circa un quarto.

Peraltro, il favore cresce fra coloro che si dicono certi di recarsi alle urne. Raggiunge, infatti, il 60%. E appare trasversale. Il "sì" risulta, infatti, maggioritario in tutti gli elettorati di partito. In misura diversa, ovviamente. È oltre il 70% fra gli elettori del Pd e il 60% fra quelli di FI. Ma supera il 50% perfino tra gli elettori del M5S e della Lega.

Questa convergenza ha ragioni diverse. Riassume il consenso alla "semplificazione" istituzionale, da un lato. Mentre, dall'altro, intercetta il clima antipolitico del tempo, che rende attraente la promessa di "neutralizzare" una Camera e di ridurre il numero dei parlamentari. Tuttavia, i rischi "politici" di questa operazione restano difficili da valutare adesso. In primo luogo, la "questione" rimane ancora poco chiara, ai cittadini, visto che la campagna elettorale non è ancora iniziata. In secondo luogo, il clima d'opinione può cambiare, prima dell'autunno. Soprattutto perché fra due mesi si voterà per eleggere i sindaci e le amministrazioni di oltre 130 città. Fra cui Roma, Milano, Torino e Napoli. L'esito della consultazione condizionerà certamente anche la campagna referendaria. Perché si è aperta una lunga campagna elettorale, al cui centro ci sarà sempre e comunque Renzi. Così il vero rischio, per Renzi, è che il significato della consultazione si rovesci. E da costituzionale e antipolitica si trasformi davvero in un referendum sulla sua figura e sulla sua leadership. Una sorta di competizione elettorale bi-partitica e bi-personale. "Pro" o "contro"
di lui. Anche l'astensione, irrilevante in un referendum costituzionale, in questo caso assumerebbe importanza. Associata alla percentuale dei "no", verrebbe, infatti, usata per misurare il sostegno - meglio: il dissenso - verso il governo. E, soprattutto, il premier.

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