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ULTIME MAPPE |
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La strada stretta del campo largo Piace agli elettori Pd ma non agli alleati (23 settembre 2024)
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Armi all’Ucraina I più contrari sono tra gli elettori di Lega, FdI e M5S (16 settembre 2024)
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Il limite del doppio mandato piace più ai dem che ai grillini (13 settembre 2024)
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Il paradosso degli elettori democrazia senza i partiti (27 agosto 2024)
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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SALVINI, FIDUCIA A TEMPO RISCHIA SE C'È IL FLOP NELLE URNE [La Repubblica, 29 aprile 2024]
I volti più rappresentativi della Lega, oggi, sono Matteo Salvini e il generale Roberto Vannacci, (im)posto come candidato un po’ dovunque. E come capolista nella circoscrizione dell’Italia centrale. Così, per affrontare il declino del partito, si realizza l’incrocio fra LdS e LdV. La Lega di Salvini e la Lega di Vannacci. E ciò rende evidente la distanza, non solo storica, dalla Lega, anzi: le Leghe, delle origini. Quando il legame con il territorio era più forte e significativo rispetto a quello personale. D’altronde, sono passati oltre 40 anni dalla formazione delle prime Leghe. Anzitutto, in Veneto: la Liga Veneta, fondata nel 1979, da un gruppo di attivisti, fra i quali Franco Rocchetta e la moglie Marilena Marin e Achille Tramarin. Pochi anni dopo, l’Union Piemonteisa e la Lega Autonomista Lombarda.
In origine, il “territorio di riferimento” aveva caratteri economici e urbanistici molto precisi. Era, infatti, costituito dalle aree di piccole imprese e piccole città. Un ambiente “lontano da Roma” e, semmai, più “vicino all’Europa”. Vista la proiezione dell’economia e delle imprese oltre confine. A fine decennio, per iniziativa di Umberto Bossi e Roberto Maroni, venne costituita “la Lega delle Leghe”, cioè, la “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. Che marcò la distanza fra il Nord e il resto del Paese. Un passaggio segnato dalla marcia lungo il Po, dalle sorgenti sul Monviso alla laguna di Venezia, nel settembre 1996. Fino al 2013, quando Matteo Salvini divenne segretario del partito. E ne cambiò l’identità e il profilo. D’altronde, nel corso degli anni, la Lega aveva subìto un declino pesante e costante, crollando al 4%, in ambito nazionale, alle elezioni del 2013, quando si presentò con il Popolo delle Libertà, di Silvio Berlusconi. E all’11% in Veneto. Cioè, circa metà rispetto al 2008. Salvini definì e realizzò una svolta profonda. E radicale. In quando ne cambiò le “radici”. Infatti, si proiettò oltre i confini del Nord. Sotto il profilo geopolitico e dell’identità. Salvini, infatti, trasformò la “Lega Nord” in “Lega Nazionale”. Ispirandosi al modello di successo delineato, in Francia, da Marine Le Pen, leader del Front National. Divenuta, presto, sua alleata e amica. In questo modo il partito riprende a crescere, fin dalle elezioni Europee del 2014. Quando risale sopra il 6%. Salvini, allora, precisa il suo disegno politico. Trasforma, cioè, la Lega in un “partito nazionale” di destra, sulle tracce del Fn di Marine Le Pen.
Un “partito personale”. Anche nel simbolo: “Lega per Salvini Premier”.
Una scelta che dà effetti positivi evidenti, alle elezioni politiche del 2018, quando supera il 17% e diviene il terzo partito in Italia. E alle Europee del 2019 va oltre il 34% e ottiene 9 milioni di voti. Il percorso della Lega Nazionale di Salvini si compie con il governo giallo-verde, costituito insieme al M5S di Giuseppe Conte. Quando, “entrambi i partiti sperimentano il governo degli anti-partiti”. Una contraddizione che, in seguito, pagano entrambi “i partiti”. In particolare, la Lega di Salvini, che scende rapidamente. Fino a scivolare sotto il 9%, nei sondaggi recenti condotti da Demos. E, prima ancora, alle elezioni politiche del 22 settembre del 2022, quando ha ottenuto l’8,8%. Erosa e “prosciugata”, anche nelle sue zone di forza, nel Nord, soprattutto dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Che ne raccoglie l’eredità di anti-partito, visto che i FdI, fino ad allora, non avevano mai governato. Attualmente coloro che voterebbero per la Lega, sono stimati intorno all’8,5%. Parallelamente, è calato anche il grado di fiducia nei confronti di Matteo Salvini. Su Vannacci, però, non sembrano esservi dubbi. È il meno “stimato” dei candidati leghisti, fra chi vota per la Lega e, a maggior ragione, fra gli elettori nell’insieme. Tuttavia, è indubbio che Salvini abbia coinvolto Vannacci per dare una svolta a un declino ormai di lungo periodo. Questa scelta, però, sembra aver indebolito la legittimazione del leader leghista, fra gli elettori nell’insieme. Che oggi gli preferiscono Luca Zaia. Tuttavia, la posizione di Salvini nel partito appare ancora solida. Quasi 9 elettori su 10 della Lega, infatti, confermano un alto grado di consenso, nei suoi riguardi. Ben oltre gli altri leader leghisti. Compreso Bossi e lo stesso Zaia. Quasi 6 su 10 pensano che non ci sia alternativa al “capo” attuale. Neppure nel caso di un risultato deludente alle prossime elezioni Europee. Anche se, in questo caso, circa 3 elettori leghisti su 10 la pensano diversamente. E marcano un possibile problema. Per il leader e il “suo” partito. Per questo motivo il voto europeo costituisce un passaggio critico, per Salvini. E per la Lega. Perché è difficile “immaginare un futuro” ... per la Lega di Vannacci. Un partito che rischia di perdere l’identità e il territorio.
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