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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
PERCHÉ NON AVREMO MAI UN OBAMA O UN MCCAIN
[La Repubblica, 7 settembre 2008]

UNA PERSONALIZZAZIONE impersonale e irresponsabile caratterizza la politica italiana. Una democrazia mediatica, affollata di volti e nomi noti e visibili. Che, tuttavia, ha ridotto e quasi abolito la possibilità, per gli elettori, di esprimere scelte e preferenze "personali". Visto che ormai la costruzione delle rappresentanze politiche e parlamentari è un fatto praticamente esclusivo dei partiti, ridotti a cerchie di gruppi dirigenti ristrette e centralizzate. Eppure, quasi vent'anni fa, la storia era cominciata diversamente. La crisi del sistema politico era stata sancita, è vero, dal referendum del 1991, che riduceva le preferenze elettorali a una sola.
Ma si trattava, allora, di ridimensionare un sistema partitocratico, nel quale le preferenze costituivano uno strumento di controllo della società e, al tempo stesso, un elemento di scambio fra gruppi di potere. In seguito, siamo passati a sistemi elettorali che personalizzano il rapporto fra elettori ed eletti. Anzitutto a livello locale, con l'elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di Provincia e, quindi, di Regione. Un rapido processo di presidenzializzazione diffusa, che il sistema elettorale della Camera e del Senato ha assecondato attraverso il maggioritario di collegio, che rende più immediato e trasparente il rapporto tra i parlamentari, i cittadini e il territorio.
Quel modello, ne siamo consapevoli, non ha ridotto la frammentazione dei partiti, tanto meno il distacco fra sistema politico e società. Ha, tuttavia, segnato una frattura, almeno a livello simbolico. Partiti contro presidenti. Riassunto dell'opposizione fra vecchio e nuovo, come ha osservato Mauro Calise.
D'altronde, i partiti si sono, anch'essi, personalizzati tutti. Dal 1994 ad oggi. Dall'archetipo insuperato, Silvio Berlusconi, fino a Walter Veltroni. Da Forza Italia all'Ulivo. Dal Partito democratico al Popolo della libertà. Passando per le diverse liste. Per limitarci alle principali: Lista Pannella e Bonino, la Lista di Pietro. Ma anche Alleanza nazionale, prima di confluire nel Pdl, nonostante disponesse di identità e organizzazione, era un soggetto identificato con il suo leader, Gianfranco Fini. E nell'Udc, ormai, la C evoca l'iniziale di Casini.
La personalizzazione è, ovviamente, enfatizzata dall'uso dei media. La televisione, in particolare, ha dato ai partiti un volto, un'immagine familiare. Anche in questa fase. I ministri più popolari appaiono al pubblico personaggi caratterizzati, che recitano in fiction di successo. Due sopra tutti. Brunetta, il vendicatore dei cittadini contro i servi fannulloni dello Stato (gli statali, appunto).
Mariastella Gelmini, protettrice dei genitori e degli alunni dagli insegnanti incapaci; restauratrice delle virtù perdute: la buona condotta, i buoni costumi (i grembiulini), i buoni maestri (unici). Mentre, all'opposizione, incontra un successo larghissimo Antonio Di Pietro, che interpreta il garante della legalità contro ogni abuso della politica; e anzitutto contro Berlusconi (che ne è il compendio). Ma anche Beppe Grillo. Attore protagonista della protesta di piazza.
Passando dal versante della partecipazione a quello della comunicazione, occorre rammentare che la costruzione del Partito democratico e, prima, dell'Ulivo, è avvenuta attraverso le primarie. Un rito di massa per celebrare la scelta del leader. Prodi, Veltroni.
Tuttavia, da qualche tempo, la personalizzazione della politica avviene insieme alla spersonalizzazione della scelta di voto. Imposta, per quel che riguarda le elezioni politiche, dalla legge elettorale in vigore dall'autunno 2005. Un proporzionale con premio di coalizione e liste bloccate. Cioè: senza preferenze.
La legge, inventata in fretta dal centrodestra al fine di contrastare il successo annunciato del centrosinistra (particolarmente avvantaggiato dal maggioritario), ha, nei fatti, rafforzato le leadership centrali di "tutti" i partiti. Consentendo loro di controllare e condizionare le candidature e, quindi, gli eletti. Mentre ha spezzato il legame dei candidati con gli elettori. Tanto che i candidati sono quasi spariti dal territorio, nel corso della campagna elettorale, limitandosi, perlopiù, ad apparire accanto ai leader nazionali, durante le manifestazioni più importanti.
Il problema avrebbe dovuto e potuto essere ridimensionato attraverso il ricorso alle primarie. Che, tuttavia, è divenuto molto intermittente. Quasi assente. Anche il Partito democratico ha usato le primarie con cautela. Evitando, comunque, di renderle troppo aperte e competitive. A livello nazionale, d'altronde, sono servite all'investitura di leader pre-destinati.
Mentre l'elezione dell'assemblea costituente e degli organismi rappresentativi a livello territoriale è stata vincolata dall'esigenza di garantire l'equilibrio tra componenti oltre al controllo (e al mantenimento) dei gruppi dirigenti. Anche nella scelta dei candidati alle amministrative (sindaci o presidenti), le primarie vengono guardate con diffidenza e trattate con prudenza. Impossibile che emergano outsider. Un Obama o un McCain de noantri. Inutile attenderli.
La questione si ripropone, oggi, in relazione al sistema elettorale che si sta progettando in vista delle prossime elezioni europee. Prevede, com'è noto, una soglia di sbarramento (3-4 per cento), per ridurre la frammentazione. Inoltre, un numero più ampio di circoscrizioni. Infine: l'abolizione delle preferenze. Su cui non c'è accordo. Ma che, indubbiamente, non dispiace - anzi, piace - ai partiti, in generale. Anche ai maggiori: Pdl e lo stesso Pd. In quanto permette loro di regolare e distribuire, con precisione algebrica e senza rischi, i posti tra le componenti (sotto)partitiche. An e Fi, da un lato. Ds e Margherita, dall'altro. Che ancora resistono e agiscono. Accanto ad altre correnti.
Vorremmo ribadire che non siamo tifosi delle preferenze. Abbiamo memoria di quando costituivano un metodo di scambio clientelare. Però insospettisce la paura che suscitano nei partiti, oggi che non hanno più basi di massa e sono ridotti a ristrette cerchie di vertice. Il contrasto tra l'enfasi sulla personalizzazione e la crescente spersonalizzazione del voto riassume quanto sia fittizia, oggi, l'opposizione fra partiti e presidenti. Visto che i presidenti identificano partiti "chiusi", la cui classe dirigente si riproduce in modo endogamico. Al proprio interno. Senza competizione; ma, semmai, per cooptazione, dall'alto.
Questo modello, peraltro, è coerente con la biografia del centrodestra. Inventata, scritta e interpretata da un Sovrano: Silvio Berlusconi. (Se ne è discusso molto nel recente convegno della Società italiana di scienza politica, all'Università di Pavia). Ma il centrosinistra e, soprattutto, il Partito Democratico - per storia, cultura e sociologia - non hanno prospettive senza coltivare il rapporto con il territorio e con la società. Senza rivalutare le primarie come metodo "vero" di consultazione e di selezione della classe dirigente. Senza dare agli elettori la possibilità di esprimere - in nessun modo - le loro preferenze personali. Senza vincolare gli eletti a un rapporto responsabile con gli elettori. Meglio che il Pd ci pensi, in vista delle prossime elezioni europee. Che, come sempre, avranno anzitutto effetti politici "nazionali".
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