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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
E SE IL CAVALIERE USCISSE DI SCENA
[La Repubblica, 24 gennaio 2011]

E se domani Berlusconi uscisse di scena, travolto dagli scandali e dalle inchieste giudiziarie, più che dall'opposizione politica. Lasciato solo dagli alleati. Dalla Lega, che ha già annunciato l'intenzione di andare subito al voto, se il federalismo si arenasse in Parlamento. Da Umberto Bossi, sempre più infastidito dallo stile di vita del Premier (a cui consiglia di "darsi una calmata").

Criticato dagli industriali, che considerano l'azione economica del governo insufficiente contro la crisi. (Lo ha ribadito anche ieri Emma Marcegaglia.) Dalla stessa Chiesa vaticana, fino a ieri indulgente seppure imbarazzata. Danneggiato dall'immagine internazionale, a dir poco logora. Infine, elemento definitivo e determinante, sfiduciato dagli italiani, dai suoi stessi elettori. (Nonostante i sondaggi degli ultimi giorni non suggeriscano grandi spostamenti elettorali. Segno di un'assuefazione etica molto elevata).
Anche in queste condizioni, Berlusconi, probabilmente, resisterebbe fino in fondo. ("Non mi piego, non mi dimetto, reagirò", ha ripetuto due giorni fa.) D'altronde, ha sempre dato il meglio (o forse il peggio) di sé di fronte alle emergenze. Sull'orlo dell'abisso. Come il barone di Münchausen, che riesce a sollevare se stesso e il proprio cavallo, tirandosi su per il codino.

Eppure "se" - e sottolineo "se" - all'improvviso Berlusconi uscisse di scena, messo all'angolo da coloro che hanno, da tempo, atteso (e preparato) questo momento. Ma anche da molti "amici" e cortigiani, come avviene sempre al potente, quando cade in disgrazia. Allora: cosa accadrebbe? In primo luogo, si sfalderebbe la maggioranza. Quel patto tra partiti e gruppi raccolti intorno a lui - e da lui - dal 1994 fino ad oggi. La Lega, An, i gruppi post e neodemocristiani che ancora non si sono allontanati da lui, confluendo nel Terzo Polo.

Il Pdl, in primo luogo. L'ha detto a "Ballarò" il ministro Angelino Alfano, tra i più vicini al Premier. Senza Berlusconi, il Pdl non potrebbe esistere né resistere. Perderebbe senso e fondamento. Identità, organizzazione e risorse. Come un ghiacciaio enorme, dove stanno un po' meno di un terzo degli elettori, ma una quota molto più ampia del sistema mediatico, della classe politica e amministrativa - centrale e locale: si scongelerebbe.

Poi, la Lega. Se ne andrebbe per conto proprio, attirando gli elettori, i gruppi economici e sociali, ma anche gli amministratori e i leader vicini alla sua proposta politica. Giulio Tremonti, per primo.
Nel complesso, si spezzerebbe quel puzzle fragile che Berlusconi aveva composto. Perché, va detto, Silvio Berlusconi è l'unico ad aver "unito" l'Italia, nella Seconda Repubblica. A modo suo, intorno a sé. Questa base elettorale e questo ceto politico, un tempo distribuito su base nazionale, nel passaggio da Fi al Pdl si sono meridionalizzati. Si disperderebbero. In che direzione? Nel Centro-Sud: un elettorato frammentato e instabile, largamente controllato da lobby locali, singoli leader, mediatori politici. Probabilmente si frazionerebbe ulteriormente, in tante piccole leghe meridionali. Nel Nord, invece, la Lega rafforzerebbe il suo radicamento e il suo peso elettorale. Non aderirebbe a una nuova alleanza di centrodestra con un partito rimasto senza leader. Ma, probabilmente, investirebbe, senza troppe remore, nell'indipendenza della "Padania". Approfittando della crisi economica e delle difficoltà dell'euro. Il centrosinistra, perduto il "nemico", si rifugerebbe nella sua fortezza di sempre. Le Regioni del Centro. Per non vedersi schiacciato dalla Padania, dal governo romano - di centrodestra - e dal Sud, fiaccato dalla crisi e dalla frammentazione.

Insomma, l'uscita di scena di Silvio Berlusconi accentuerebbe le divisioni del Paese, che egli, in questi anni, ha coltivato e dissimulato. E aprirebbe un vuoto di potere: politico e di senso. Visto che l'intera architettura di questa Repubblica è stata concepita da lui. E si regge su di lui. Perché Silvio Berlusconi è l'inventore della Seconda Repubblica. Colui che ha imposto la personalizzazione e il marketing in politica. Il format a cui si sono uniformati tutti i partiti, a destra e a sinistra. Berlusconi: ha alimentato l'anticomunismo e, in modo simmetrico, l'antiberlusconismo. Insieme al contrasto Nord-Sud e all'orientamento anti-romano, affermati dalla Lega, le fratture "ideologiche" più importanti degli ultimi 17 anni.

Se Berlusconi uscisse di scena ora, all'improvviso, non solo la maggioranza, ma anche l'opposizione di centrosinistra - il Paese stesso - si troverebbero spaesate. Il sistema politico italiano, scosso da conflitti politici e di leadership, perderebbe la bussola. Il corpo dello Stato, riassunto, insieme al corpo politico e sociale, rischierebbe di decomporsi, insieme al corpo del Capo, che li riassume tutti in sé. (Come ha evocato Mauro Calise, nella nuova edizione de Il Partito personale, edito da Laterza).

Lungi da me l'intenzione di legittimare l'esistente. Anche nelle "democrazie del pubblico" (come le chiama Bernard Manin, nel volume pubblicato dal Mulino), diffuse in Europa e in Occidente, Berlusconi costituisce un'anomalia. Per il grado di concentrazione dei poteri che ha realizzato. Lui, capo del governo, del partito maggiore, proprietario del più grande gruppo mediatico privato, ma influente anche sui media pubblici. È giusto superare questa anomalia, che condiziona da troppo tempo la nostra democrazia. Al più presto. Anche perché Berlusconi appare, da tempo, indebolito. Insieme a lui, si sono indeboliti: il sistema politico, il senso civico, per non parlare del rapporto con lo Stato e lo stesso Stato. Già tradizionalmente deboli, fra gli italiani. Si sono indeboliti anche i fragili legami di solidarietà che legano un Paese tanto diviso.

Tuttavia, occorre essere consapevoli che se Berlusconi abbandonasse la scena politica, per ragioni politiche o giudiziarie (o per entrambi i motivi), i problemi del Paese non si risolverebbero. All'improvviso. Ma si riproporrebbero seri e gravi. Non meno di adesso. Non ne usciremmo, non ne usciremo, senza realizzare le riforme annunciate ed eluse, dopo la fine della prima Repubblica. Ecco: se Berlusconi uscisse di scena, occorrerebbe ri-costruire, ri-formare e ri-fondare la nostra democrazia attraverso "un processo costituente condiviso". Rinunciando al vizio e al brivido dell'anomalia. Anche se una "democrazia normale" non è nelle nostre corde, nella nostra tradizione.

Ma, personalmente, mi sarei stufato degli effetti speciali.
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