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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
LA POLITICA E LA NEMESI TV
[La Repubblica, 5 novembre 2012]

Pareva concluso il tempo della media-politica. E soprattutto quello della tele-politica. Oscurata o almeno eclissata dalla crisi del berlusconismo e dalla parallela ascesa del montismo. Ma anche dalla ripresa del clima anti-politico. Lo suggeriva il calo - sensibile - degli ascolti delle trasmissioni e dei talk politici, registrato nei primi mesi dell'anno. È come se il cittadino si fosse stancato di essere spettatore. "Homo videns", come lo ha definito Giovanni Sartori. Un po' per noia e un po' per disgusto. Un po' perché la nuova classe di governo - Monti in testa - appariva poco spettacolare. E, piuttosto, grigia. Invece, da qualche tempo, il vento sembra di nuovo cambiato. Gli ascolti dei programmi tele-politici sono in ripresa. Ma, soprattutto, la tivù sembra tornata ai fasti e ai nefasti di vent'anni fa.

Nella stagione di Tangentopoli, mentre Berlusconi si apprestava a scendere in campo. Quando la televisione divenne "teatro della rivoluzione". Dove Gad Lerner metteva il scena il Profondo Nord, direttamente "nella tana della Lega". Dove Gianfranco Funari dava volto e voce - con assoluta naturalezza - alla gente con tre ggg, indignata contro i politici. Vent'anni dopo, la tivù torna a contare. Ma a pagarne il prezzo sono, per primi, i protagonisti di vent'anni fa. E degli ultimi vent'anni. La Lega: sfinita dalla saga familiare di Bossi. Dagli scandali che non le vengono perdonati - e fanno notizia - proprio perché in passato Bossi e la Lega hanno interpretato il ruolo dei Grandi Censori.

Ma la tv, in questi giorni, ha sanzionato il declino dei protagonisti della Seconda Repubblica. Per primo, Silvio Berlusconi. Che ha dettato le regole e i format della politica e dei suoi attori. Per quasi vent'anni. Il Cavaliere. Ha cominciato la sua avventura il 26 gennaio 1994, con un video nel quale annunciava la sua "discesa in campo". Ma dopo la conferenza stampa del 27 novembre è difficile non considerare il suo tempo scaduto. Anche se annunciava il contrario. La sua ri-discesa in campo. Pochi giorni dopo avere annunciato l'intenzione di "tirarsi indietro". Più delle parole, è l'immagine a tradire Berlusconi. Sugli schermi tutti hanno visto un vecchio. Incapace di invecchiare. Di accettare i segni dell'età. Di affrontare il declino - fisico - con dignità.

Una nemesi che ha colpito anche il suo "nemico" di sempre. Antonio Di Pietro. Protagonista delle inchieste e dei processi di Mani Pulite. Una sorta di rito purificatore, celebrato di fronte al popolo riunito. Davanti alla televisione. Impossibile immaginare Tangentopoli senza le immagini in diretta dei processi ai politici della Prima Repubblica. Antonio Di Pietro e i magistrati divennero, allora, gli eroi popolari del cambio d'epoca e di sistema. Dalla democrazia dei partiti alla democrazia del pubblico. Di cui Silvio Berlusconi diviene presto il regista e il protagonista assoluto.

La carriera di Antonio Di Pietro, però, oggi appare in crisi. Compromessa dall'inchiesta di Report, la trasmissione di Milena Gabanelli, che una settimana fa ha scavato nei conti del suo partito, descrivendolo come una sorta di azienda familiare. Di Pietro. Colpito dalla satira di Maurizio Crozza, nel programma trasmesso su La 7. Con effetti ancor più deleteri. Perché oggi, per la carriera di un politico, Crozza conta più di Vespa, Floris e Santoro. Non a caso Di Pietro ha reagito soprattutto dopo il ritratto velenoso di Crozza. Ha parlato di killeraggio. Fornendo una versione dei fatti in contrasto con quella di Report. Con scarsi risultati, visto che, nelle stime elettorali, l'Idv è scesa al di sotto del 5%. Mentre, per livello di impopolarità, Di Pietro affianca Silvio Berlusconi. I nemici di sempre sono finiti in fondo alla scala. Dell'opinione pubblica.

L'importanza della tivù, nella politica attuale, è confermata dalle strategie di comunicazione di Beppe Grillo. Anche se di segno contrario. Egli è, infatti, implacabile nel sanzionare ogni apparizione televisiva degli esponenti del M5S. Da ultima, la partecipazione a Ballarò di Federica Salsi, consigliera comunale di Bologna. Per Grillo, la presenza nei talk show televisivi è "il punto G". Che genera piacere a chi vi appare. Ma, al tempo stesso, ne logora l'immagine. E, insieme, mina la credibilità delle forze politiche a cui fanno riferimento gli ospiti televisivi.

Le valutazioni - e le imposizioni - di Grillo, sono significative. Perché Grillo è un esperto di media. Ha frequentato la tv per quasi vent'anni. Ne è stato un personaggio di successo. Poi ha calcato le arene e i teatri-tenda. Infine, ha sperimentato il potere dei new media. Ne ha fatto un modello alternativo di partecipazione politica. Alla base del suo MoVimento. La rete, il blog, i Meet up: hanno permesso al M5S di sottrarsi ai condizionamenti - politici ed economici - dei media tradizionali. E permettono a Grillo di controllare, a sua volta, gli eletti del MoVimento. Di cui "possiede" il marchio. Nel M5S, d'altronde, la consegna del silenzio è accuratamente rispettata. Nessun militante si reca nei Talk dei media nazionali. Salvo eccezioni, prontamente sanzionate dal leader. Che è l'unico ad apparire - nei video ripresi dal suo blog o registrati nelle sue tournées "politiche". D'altronde, ci pensano i talk e i tg (per primo, quello di Mentana su La 7) a inseguire Grillo e il M5S, garantendogli grande visibilità (come mostrano i dati dell'Osservatorio di Pavia).
Tuttavia, l'indicazione di Grillo circa gli effetti politici della televisione è significativa e fondata. Apparire in tv, nei talk show, in tempi di delegittimazione dei partiti e dei loro leader, significa venire associati ad essi. Assimilati nello stesso clima antipolitico del tempo. Come, vent'anni fa, la Lega. Esclusa dai media. Eppure aveva successo. Proprio per questo. Perché i media e la tv erano identificati con i partiti tradizionali.

Il che suggerisce l'analogia di questa fase con il cambio d'epoca di vent'anni fa. Ora, come allora, andare in tv delegittima, invece di legittimare. Rende impopolari, piuttosto che popolari. Con la differenza, decisiva, che oggi la televisione conta molto più di allora. Vent'anni di democrazia del pubblico guidata da Berlusconi non sono passati invano. Così, oggi la televisione fa molto più male alla politica e ai politici. Anche perché, in tempi di antipolitica, li ha inseriti in format di infotainment e politainment. Naturaliter anti-politici. E perché i politici e i partiti, negli ultimi vent'anni, hanno abbandonato la società e il territorio per trasferirsi lì. Nei salotti e nei talk show. A recitar la parte dei cattivi. In alternativa e, più spesso, insieme ai casi turpi di giornata. Tra un delitto irrisolto, un'aggressione e uno scandalo sessuale.

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