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La strada stretta del campo largo Piace agli elettori Pd ma non agli alleati (23 settembre 2024)
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Armi all’Ucraina I più contrari sono tra gli elettori di Lega, FdI e M5S (16 settembre 2024)
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Il limite del doppio mandato piace più ai dem che ai grillini (13 settembre 2024)
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Il paradosso degli elettori democrazia senza i partiti (27 agosto 2024)
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI
La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica. |
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IL BUON ESEMPIO E LA PAURA [La Repubblica, 12 gennaio 2015]
I sanguinosi attentati di Parigi hanno, certamente, una matrice religiosa, prima che politica, come ha argomentato ieri Eugenio Scalfari. Ma sono destinati a produrre - e, anzi, hanno già prodotto - conseguenze politiche molto serie. In Francia, in Italia. E in Europa. Ben al di là delle intenzioni dei terroristi. Gli autori dell'eccidio ai danni della redazione di Charlie Hebdo intendevano, infatti, punire l'offesa contro il Profeta e i simboli dell'Islam. In modo estremo, secondo la loro interpretazione estrema ed estremista del Corano. In questo modo, però, perseguivano - ed eseguivano con ferocia - anche una finalità "politica". Intimidire la patria delle libertà: culturali, di espressione, religiose. Al tempo stesso, intendevano - intendono - radicalizzare l'Islam - in Francia e in Europa - intorno a un solo nucleo. A una sola interpretazione. Jihadista. Anche se l'Islam è un fenomeno complesso, come ogni religione. Lo ha rammentato ieri Corrado Augias. L'eccidio di Parigi, però, rischia di produrre anche altri esiti. Diversi, ma non meno pericolosi. Non solo per i francesi, ma per noi tutti.
In particolare, l'attacco degli jihadisti (francesi) che ha insanguinato Parigi ha, senza dubbio, colpito al cuore anche l'Unione europea. Mettendone in luce l'estrema debolezza e "lateralità" rispetto alle scelte e alle questioni che riguardano la vita - e la morte - delle persone. La sfida terrorista dell'Islam radicale, infatti, è stata affrontata, a Parigi, dai servizi e dalle forze dell'ordine "nazionali". Non da un sistema di difesa e di sicurezza "europeo". Che non esiste. Come non esiste un esercito. Né una politica estera comune e condivisa. Non per caso, in nome della difesa e della sicurezza contro la minaccia terrorista, in questi giorni, sono state messe in discussione le regole sulla libera circolazione dei cittadini fra i paesi europei previste dal trattato di Schengen. Un'ipotesi "rivendicata", per primo, da Roberto Maroni. Importante leader della Lega, ma, anzitutto, governatore della Lombardia. Una Regione aperta - e influente - sull'Europa. La stessa preoccupazione, d'altra parte, ha trovato altri sostenitori autorevoli, nei governi della Ue. In particolare, da parte di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea.
D'altronde, la "politica", nei sistemi democratici, avviene attraverso la competizione per il potere e l'esercizio del governo, fondati sul consenso dei cittadini. Che è regolato dal voto e condizionato dall'opinione pubblica. E ha base saldamente "nazionale". Per questo, risulta chiaro che il sanguinoso attacco a Charlie Hebdo avrà una forte influenza sulla fiducia - e sfiducia - degli elettori nei confronti delle forze "politiche" e delle istituzioni. Nazionali. E contribuirà a (ri)orientare la politica nei diversi sistemi politici. Nazionali. Tanto più per il violento impatto prodotto sul piano "mediale" - previsto e premeditato dai militanti jihadisti.
In particolare, è prevedibile che questa vicenda contribuisca ad allargare i consensi delle forze politiche che agitano la paura degli stranieri e, insieme, l'islamofobia. Anzitutto, le Front National. Che, alle Europee, ha ottenuto oltre il 25% dei voti. Primo partito, in Francia. In Italia, la Lega di Salvini, anch'essa in grande crescita. Ormai vicina a Forza Italia, secondo i sondaggi condotti prima delle festività. Ma oggi, presumibilmente, anche oltre. Salvini, non a caso, è intervenuto immediatamente. In modo esplicito e aggressivo. Ha echeggiato Jean-Marie Le Pen, ancor più della figlia Marine.
D'altronde, dovunque, in Europa, la presenza dei musulmani, nella popolazione, è largamente sovrastimata (indagine Ipsos MORI). Non è, dunque, un caso che tanto il Fn quanto la Lega - "nazionalizzata" e personalizzata da Salvini - siano apertamente anti-europei. Perché i due sentimenti risultano strettamente connessi e reciprocamente intrecciati, non solo nelle strategie di questi (e altri) soggetti politici, ma anche negli orientamenti sociali. Non a caso, in Italia, fra coloro che percepiscono l'immigrazione come una minaccia, la sfiducia nella Ue cresce fin quasi all'80%. Cioè, oltre il doppio rispetto alla popolazione. Si tenga conto che si tratta di stime calcolate in base a sondaggi (di Demos) condotti oltre un mese fa. Quando la "paura degli immigrati" coinvolgeva circa un terzo degli elettori. Un dato, probabilmente, accentuato dagli avvenimenti recenti.
Anti-europeismo e xenofobia (letteralmente: paura dello straniero) appartengono, d'altronde, alla medesima sindrome. Lo spaesamento. Riflette la perdita di riferimenti generata dalla mondializzazione. Dalla progressiva scomparsa dei confini che, comunque, offrono de-finizione, identità, riconoscimento. Una sindrome che si riflette nel crollo della fiducia in tutte le istituzioni pubbliche e nelle principali organizzazioni sociali, rilevato dall'Indagine 2014 sul "Rapporto fra i cittadini e lo Stato".
Per questo, al di là - e oltre - le intenzioni degli autori, è probabile che la sanguinosa aggressione di Parigi crei uno spazio favorevole ai soggetti e ai sentimenti anti-europei. Anche perché l'Europa, tanto attenta e sollecita a vigilare sui parametri economici e di spesa, appare altrettanto distratta e svagata di fronte alle questioni che riguardano la vita e la sicurezza delle persone. E, mentre vigila sulla moneta e sul mercato comune, si disinteressa della costruzione di una "difesa" comune. All'esterno e all'interno. Così, la Ue continua ad apparire una moneta e un mercato senza Stato. Incapace, anche per questo, di neutralizzare - ma anche di affrontare - la sfida del fondamentalismo islamico, che cresce al suo interno. Certo, ieri due milioni di persone e 50 capi di Stato e di governo, di tutto il mondo, hanno marciato a Parigi. In nome della libertà di espressione. Della convivenza fra idee e religioni diverse. Anche questo è un effetto, non previsto, del massacro compiuto dagli jihadisti. Segno di una coscienza collettiva. Che per risvegliarsi, però, ha bisogno di tragedie come questa. Certo, la grande manifestazione di ieri ha offerto un "buon esempio" dell'Europa che vorremmo. Non di quella che conosciamo. Perché marciare e morire per un Euro: non ha "senso".
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