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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
ASPETTANDO LO SCONTRO FINALE
[La Repubblica, 28 marzo 2008]

E' come se la corsa elettorale procedesse in surplace, in attesa dell'ultima curva prima del traguardo. Il sondaggio condotto da Demos per la Repubblica, prima dell'oscuramento imposto dalla par condicio, ripropone, infatti, le stesse indicazioni emerse sin dall'inizio della campagna elettorale. Senza grandi scostamenti. Pochi decimali differenziano una rilevazione dall'altra. Inutile, anzi, dannoso cercare di inseguirli. Si rischierebbe di dare senso politico a variazioni che possono dipendere da errore statistico. La verità è che il clima evoca la vigilia dello scontro finale. Fino ad oggi, rinviato. I leader dei due partiti nuovi – e maggiori - si sono fronteggiati, evitando di scontrarsi. Così, abbiamo assistito a polemiche indirette. Non sui contenuti o sui programmi. Ma su persone tradotte in simboli. Da un lato, Calearo. Imprenditore. Sicuramente non di sinistra. E anzi piuttosto di destra. Candidato dal Pd. Agitato polemicamente dal PdL, ma anche da Sinistra l'Arcobaleno, per creare difficoltà a Veltroni, nel rapporto con i lavoratori. Dall'altro, Ciarrapico e la Mussolini, candidati del PdL. Gli avversari ne hanno fatto un bersaglio critico, per spaventare gli elettori moderati (ammesso che il riferimento al fascismo li spaventi). Solo nell'ultima settimana il dibattito è stato scosso da questioni più concrete. Piegate anch'esse a scopi elettorali. "O si fa l'(Al)Italia o si muore", ha esclamato Berlusconi. Solleticando l'orgoglio nazionale (che, peraltro, si impenna solo durante i mondiali di calcio). E, al tempo stesso, il popolo nordista, che guarda Malpensa. D'altro canto, Veltroni ha galvanizzato i pensionati, che rappresentano una base elettorale solida per il Pd.
Intorno, le altre forze politiche hanno sgomitato, alla ricerca di visibilità. Perché questo sondaggio conferma che si va verso un bipartitismo robusto. Quasi tre elettori su quattro concentrano le loro intenzioni di voto su Pd e PdL. Considerando i partiti apparentati, si sfiora l’85%.
Quanto all'esito finale, restano 6 punti e mezzo di vantaggio, a favore del PdL e dei suoi alleati. Un distacco "non" incolmabile. Fosse convinto davvero di avere già vinto, Berlusconi non reagirebbe in modo stizzito ogni qualvolta Veltroni annuncia che la rimonta prosegue. Né suggerirebbe agli elettori dell'Unione di Centro di votare in modo disgiunto, scegliendo il PdL al Senato. Il cui esito, in termini di seggi, può essere previsto solo da un oracolo.
Il fatto è che, dal 1994 ad oggi, ogni previsione "certa" è stata smentita. Tutte le elezioni si sono risolte in pochi punti di distacco (1996 e 2001). Talora, in frazioni di decimale (2006). Anche quando i sondaggi certificavano un distacco più largo di oggi (nel 2001, ad esempio). Le rimonte, le svolte, si sono verificate nelle ultime settimane. Quando gli elettori indecisi hanno deciso. I potenziali astensionisti si sono rassegnati a votare. Turandosi il naso (e anche il resto). Naturalmente, le differenze del passato sono profonde. Alle spalle abbiamo quattordici anni di campagne elettorali condotte in un clima e con un linguaggio da guerra civile ("a bassa intensità", per evocare una nota metafora). Su fronti contrapposti. Sottinteso che, chiunque avesse vinto le elezioni, gli altri se ne sarebbero andati a vivere altrove. Fin qui, per ora, ha regnato una calma piatta. Nel sondaggio di Demos, cambia poco. Veltroni si conferma il leader che gode di maggiore fiducia. I consensi, per la premiership, si dividono esattamente a metà, fra lui e Berlusconi. Il PdL resta avanti, rispetto al Pd, più o meno come prima. Si corre lungo il crinale fra attesa e delusione. Rischioso "solo" per il Pd. La disaffezione, infatti, affligge soprattutto i suoi elettori. Potrebbero essere tentati dal non voto, senza una sferzata. Per questo, molti osservatori – ed elettori – si attendono che qualcosa di nuovo avvenga, nelle prossime settimane. Che la campagna elettorale diventi politicamente più scorretta. Che esplodano polemiche vere su questioni vere. Com'è avvenuto in Spagna, fra Zapatero e Rajoy. Oppure nelle primarie democratiche USA, fra la Clinton e Obama. Sistemi aperti a democrazia competitiva, dove partiti e candidati di sponda alternativa si riconoscono reciprocamente. Ma, in campagna elettorale, si misurano in modo aspro. Senza risparmiarsi colpi bassi. (Zapatero e Rajoy, nell'ultimo faccia a faccia, si sono accusati reciprocamente ed esplicitamente di sfruttare il terrorismo a fini elettorali). Altrimenti, non si capisce su che base possano decidere gli elettori, in tempi di depressione psicologica e disincanto ideologico. Per questo, immaginiamo che Veltroni, nel prossimo periodo, alzerà il tono del confronto. Costringerà Berlusconi a un faccia a faccia tivù. Senza rete. Si farà sentire e vedere dovunque. Non solo sul territorio. Come il Cavaliere, due anni fa. Intervenne perfino a "Uomini e camion", in radio. Non si tratta di riedificare il muro di Arcore, rilanciando l'antiberlusconismo. Berlusconi non è il nemico. E' l’avversario più forte. Come tale, va sfidato, incalzato. Ogni giorno. Se si pretende di vincere.
Questo, peraltro, sembra il modo più efficace di promuovere il voto "utile". Convincere gli elettori a votare per un partito e un candidato perché hanno idee, proposte, relazioni, capacità. Migliori degli altri. E le sanno comunicare. Imporre, se necessario.
Perché, in politica, non il voto, ma il "vuoto" è inutile.

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