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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
SÌ ALLE UNIONI CIVILI NO ALLA STEPCHILD GLI ITALIANI APPROVANO LA NUOVA LEGGE
[La Repubblica, 29 febbraio 2016]

Alla fine, il maxiemendamento sulle "Unioni civili" è stato approvato dal Senato. Con lo stralcio delle norme sulla stepchild adoption e dei riferimenti diretti al matrimonio. Ha ottenuto il sostegno dell'Ncd di Angelino Alfano e del gruppo guidato da Denis Verdini. Così Matteo Renzi è riuscito a sbloccare una legge-bandiera. Facendo, però, attenzione agli orientamenti degli elettori. Come emerge dal sondaggio di Demos, realizzato nei giorni scorsi e pubblicato oggi da Repubblica.

L'Atlante Politico di Demos, infatti, mostra come le Unioni civili fra coppie omosessuali siano approvate da oltre due elettori su tre. Al contrario della stepchild adoption. Accettata da poco più di un elettore su tre. E, soprattutto, da una quota minoritaria, seppure di poco (46%), di elettori del Pd. Ma anche del M5S (41%). Così si spiega il percorso contorto seguito da Renzi e dai leader del M5S - in questa vicenda. Renzi e il M5S rivolgono, infatti, grande attenzione agli elettori "moderati". Decisivi per affermarsi e governare, nel Paese.
Naturalmente, la geometria variabile delle alleanze scelta da Renzi, in Parlamento, apre nuove divisioni. Anzitutto, nel suo partito, nel Pd, dove la sinistra appare, ormai, ostile. Un'opposizione al PdR dentro al PD. Ma il dissenso si sta allargando anche in altri ambienti. D'altronde, intorno a questa legge, nelle scorse settimane, si sono mobilitate piazze animate da sentimenti opposti. Da un lato, il "popolo arcobaleno", a sostegno del ddl Cirinnà. Dall'altro, il "Family day", ovviamente contrario.

Si spiega anche così il relativo calo della fiducia nei confronti del governo e di Matteo Renzi rilevato dall'Atlante di Demos. La fiducia nel governo, anzitutto, è scesa al 41%: 5 punti in meno rispetto a novembre 2015, quando è stato condotto l'ultimo sondaggio. Ma ancor più significativa appare l'evoluzione del gradimento personale nei riguardi del premier. Oggi è espresso dal 41% degli elettori. Come il governo. Cioè, 7 punti percentuali in meno rispetto allo scorso novembre. Ma, soprattutto, poco più del consenso ottenuto da Pier Luigi Bersani (39%). Era dai tempi in cui vinse le primarie, nel 2012, che Bersani non risultava così apprezzato dagli elettori. A conferma delle divisioni interne al Pd e, in particolare, nella sinistra.

Certo, Renzi è ancora il primo, nella graduatoria dei leader. Ma le distanze dagli altri esponenti politici sono molto strette. Dopo Renzi e Bersani, in una decina di punti incontriamo: Giorgia Melo- ni, Matteo Salvini, Luigi di Maio, Diego Della Valle e Maurizio Landini. A un'incollatura: Beppe Grillo (peraltro, in sensibile calo). Solo Giorgia Meloni, leader dei FdI, e Di Maio, (candidato) leader del M5S, fanno osservare una crescita del loro consenso personale. Comunque, limitata. Non paragonabile alla progressione di Bersani (7 punti in più). Tuttavia, è interessante osservare come il Pd - sul piano elettorale, almeno - non paghi queste crescenti tensioni intorno al segretario- premier (e viceversa). Le stime di voto - proporzionale - elaborate da Demos riportano, infatti, il Pd oltre il 32%. Poco più rispetto allo scorso novembre. Ma era dall'estate scorsa che non raggiungeva questo livello. Peraltro, il M5S - unica vera opposizione, fino ad oggi - è danneggiato dalle polemiche di questi giorni sulle Unioni civili. Ma, soprattutto, dai conflitti - interni oltre che con gli altri partiti - a Bologna, a Livorno, a Parma... E, prima ancora, a Quarto, dov'è accusato di essere stato "infiltrato" dalla camorra.

Certo, il M5S resta la forza politica più accreditata nella lotta alla corruzione. Ma la quota di elettori che lo ritiene il soggetto più credibile, su questo piano, scende di qualche punto: dal 31% al 27%. Mentre, al contempo, si allarga l'area di quelli che non credono a nessuno. Secondo quasi metà del campione (il 46%), di fronte alla corruzione, tutte le forze politiche sono in-credibili.
Nonostante questi problemi, il M5S paga un prezzo, tutto sommato, relativo. Si attesta poco sotto il 26%. Un punto e mezzo in meno, negli ultimi tre mesi. Ma oltre 6 punti sotto al Pd. La distanza più elevata dalla scorsa estate.
Tra le altre forze politiche, si osserva il riallineamento di Forza Italia, in crescita lieve, alla Lega Nord, in calo di quasi un punto. È significativo, infine, il risultato attribuito ai FdI, che raggiungono il 5,5%. Favoriti dalla visibilità di Giorgia Meloni.

Dunque, il Pd oggi mantiene le sue posizioni, anche se il suo leader ha perduto qualche punto, negli ultimi mesi. O, forse, proprio per questo. In passato ho scritto che nel PD coabitano due identità. Quella "storica" e quella "personalizzata". Il Pd e il PdR. Riuniscono coloro che votano Pd nonostante Renzi. E quelli che votano per Renzi nonostante il Pd. Quando le due identità coabitano, allora il successo è grande. Come alle elezioni europee del 2014. Ma la coesistenza non è sempre facile. Anzi lo è sempre meno. Anche se Renzi è abile e agile. Persegue e realizza iniziative ad alta visibilità e, comunque, gradite. Le sue polemiche con L'Unione Europea: contro i vincoli di spesa che costringono all'austerità. Contro coloro che non condividono la ripartizione delle quote di migranti. Sono largamente apprezzate dagli elettori. Non solo nel Pd, ma ben oltre.

Tuttavia, Matteo Renzi appare, sempre più, un leader "solo". Che si affida soprattutto - anzitutto - a collaboratori fidati. Nel partito, nel governo: al centro c'è lui. Il Capo. Il Premier. Tutto il resto gli ruota intorno. Così, se, in termini proporzionali, il Pd si conferma primo partito, in caso di ballottaggio, il suo successo risulta più incerto.
Secondo le stime di Demos, due punti soli lo dividono dal M5S, ma anche da un soggetto politico di destra, che riunisse FI, Lega e FdI. Naturalmente, nel ballottaggio, il Pd potrebbe contare sull'immagine - ancora forte - del Capo. Mentre non è chiaro chi sarebbe alla testa degli altri partiti. Però, anche per questo, la coabitazione fra i due Pd potrebbe diventare un problema. Trasformando il Pd-R - cioè, il Pd di Renzi - in un faro. Che indica il porto verso cui dirigersi. O da cui fuggire.
Una specie di nuovo muro. Come Berlusconi, fino a ieri.

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