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Le mappe di Ilvo Diamanti
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LE MAPPE DI ILVO DIAMANTI

La geografia degli orientamenti culturali, sociali e politici degli italiani, tracciata dagli articoli di Ilvo Diamanti per La Repubblica.
CORONAVIRUS, UNA NOTTE SENZA TEMPO
[La Repubblica, 16 marzo 2020]

Viviamo nella notte del virus. Al buio, perché è difficile vedere cosa avvenga fuori. Visto che siamo chiusi in casa. A tempo pieno. Soli. E non incontriamo nessuno. Gli altri, possono essere pericolosi. Veicoli virali. Tanto più per me, che ho problemi circolatori seri. Così mi sto abituando a vivere da solo. "Assistito" da mia moglie. Povera donna... Mentre i miei figli (e mia nuora) abitano non lontano da qui. In un "altro" Comune. Quindi, "altrove". E sono attenti e prudenti, nei miei riguardi. Ma divengono, a loro volta, "altri".

È così che il virus attacca e indebolisce la società, come ha osservato Ezio Mauro, nei giorni scorsi. Perché ci costringe a nasconderci. Lontani dagli "altri". E fa divenire altri anche le persone più vicine a noi. Se abitano "altrove". Se frequentano e hanno frequentato altre persone. Il virus, dunque, ha "infettato" i luoghi e contesti di relazione "sociale". Inoltre, ha amplificato il nostro senso di precarietà. Ci impedisce di tracciare non dico un orizzonte, ma neppure una prospettiva di tempo, per quanto limitata.

Io, come molti altri, vivo una vita complicata. Con molti impegni. Di lavoro. Nel mio caso, l'insegnamento universitario. Che si svolge lontano da casa mia. Fra Urbino e Parigi. Dunque, normalmente viaggio molto. Ma, in questo periodo, gli istituti scolastici e universitari sono chiusi. In Italia. E in Francia. Così i corsi si tengono online. In Rete. A Urbino hanno provveduto subito. Anzi: ben prima che irrompesse il virus. La didattica online è sperimentata e praticata da tempo. Normalmente. Ma, per me, è comunque un'esperienza difficile. Perché per insegnare io ho bisogno di un luogo e di uno spazio comune. Dove sviluppare una relazione "empatica".

Al di là dei miei limiti personali, però, c'è un problema sostanziale, che va oltre. Riguarda, come ho già detto, "il tempo". Oggi non sappiamo cosa possa avvenire domani. Anzi, oggi stesso. Inoltre, rimuoviamo quel che avviene, un giorno dopo l'altro. D'altronde, poco più di un mese fa pensavamo, ancora, che il coronavirus fosse una "questione cinese", importata da alcuni turisti rientrati, appunto, dalla Cina. E da alcuni "untori orientali". Poi, abbiamo cercato di circoscriverne l'ampiezza intorno ad alcune località. Di piccola dimensione demografica. Codogno e Vò Euganeo. In seguito, però, i confini si sono rapidamente allargati. Prima, ad alcune Province e Regioni. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Marche. Ma oggi tutta l'Italia è zona rossa. E l'infezione si è diffusa altrove. In Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna. E negli Usa. Nonostante i blocchi alle frontiere. Perché i virus non si fermano alle frontiere. Non esibiscono passaporti. E non fanno differenze. Di genere e classe. L'età conta maggiormente. Ma solo perché, come tutte le epidemie, i più vulnerabili sono i più deboli. Gli anziani, le persone con problemi di salute. Come me, appunto.

Gli eventi virali che ho rammentato, anzitutto a me stesso, sono, quindi, avvenuti e si sono propagati in poco più di un mese. Anche se ci sembra, mi sembra, un secolo. Perché il virus ha segnato un cambio d'epoca. Il tempo del virus è "altro" rispetto a prima. (Prima?). E, soprattutto, non sappiamo quanto durerà. Non solo, non sappiamo cosa possa capitare fra una settimana, un giorno. Domani. Fra qualche ora. Tutti gli organismi, le istituzioni, hanno dovuto rivedere, azzerare l'agenda. Noi stessi l'abbiamo ri-scritta. E continuiamo a farlo.

Intanto, il mondo intorno a noi viene riproposto e riprodotto dai media. In tempo reale. Secondo per secondo. Lo spettacolo della paura non finisce mai. E proietta ciò che avviene dovunque. È la globalizzazione. Tutto ciò che avviene dovunque, nel mondo, ha effetti im-mediati su di noi. Dovunque viviamo, abitiamo. (Una definizione di Anthony Giddens che ripeto spesso, soprattutto in questi giorni).

E la realtà viene riassunta dall'unico evento che oggi conti. Il coronavirus. Che ci scorre davanti agli occhi. Sugli schermi e online. E sui giornali. D'altronde, in questi giorni, non abbiamo altro da fare. E non vogliamo fare altro. Così, veniamo aggiornati, senza soluzione di continuità, sul numero di persone infette, decedute, guarite. Sempre chiusi in casa. Perché uscire non si può. È vietato... Ed è rischioso. Tanto più accogliere altre persone. Conoscenti, parenti, amici e sconosciuti. Non fa differenza. Ma da soli, invasi dal mondo che incombe e ci invade attraverso i media: il tempo si dissolve. E l'eccedenza mediatica produce il suo opposto.

Una società senza mediazioni. Senza mediatori. Im-mediata, appunto. Senza gli altri. Senza relazioni. Senza amici. E neppure nemici. Quindi, senza valori e sentimenti che uniscano. E dividano. Così avanza una società senza tempo. Perché il virus ha azzerato quel che avveniva "prima". Ma anche quel che potrebbe avvenire "dopo". È una società senza ieri. E senza domani. Senza passato. Senza futuro. Perché non sappiamo quando l'incubo finirà. Se e quando, dove e come, ci sveglieremo. E non possiamo più pre-vedere, tracciare scenari. Ma neppure storie e storia. Solo cronache di un tempo - e di un mondo - "provvisorio", come direbbe "quel gran genio del mio amico". Edmondo Berselli.

Perché il virus, oltre ad attaccare la società, oltre a isolarci, ci imprigiona al "momento". E questo momento, in questo momento: è già (il) passato.


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