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RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO - XII RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO

Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, realizzato su incarico del Gruppo L'Espresso.
COMMENTO GENERALE
[di Ilvo Diamanti]

Nell'Italia, da tempo inquinata dalla delusione politica e dal torpore civico, nel 2009 si assiste a un ritorno inatteso. La partecipazione politica e sociale. Il 18% degli italiani dichiara di aver partecipato a manifestazioni politiche e di partito, nell'ultimo anno. Una quota analoga a quella espressa dalle mobilitazioni di protesta. In entrambi i casi, una partecipazione superiore al 2008 di 4-5 punti. Nel complesso, quest'anno oltre un italiano su quattro ha manifestato per ragioni politiche. Ma oltre uno su due, se si considerano le iniziative che affrontano tematiche sociali oppure locali. Mentre solo due persone su dieci sono rimaste estranee ad attività di partecipazione, sia pure legata allo sport o al tempo libero. Non si tratta di dati scontati. La delusione e il disincanto spesso suscitano distacco. In questa fase, invece, sta avvenendo il contrario. Per comprenderne i motivi conviene considerare le componenti più impegnate. Si tratta, anzitutto dei più giovani e gli studenti, la cui mobilitazione, però, appare attenuata, dopo la stagione dell'Onda. Mentre è in sensibile crescita fra i lavoratori: i dipendenti pubblici, gli operai, i professionisti. Infine, anche fra i disoccupati. Altre indicazioni - forse le più esplicite - emergono dagli atteggiamenti politici. Quasi la metà degli elettori di sinistra, circa il 40% di quelli del PD e dell'IdV, affermano di aver partecipato a manifestazioni politiche e di protesta, nell'ultimo periodo. Da ciò il duplice incentivo alla ripresa della partecipazione: l'emergenza economica e la protesta politica.
a) Da un lato, si assiste a una mobilitazione diffusa e composita, che coinvolge diversi settori e diversi ambienti della società e del lavoro. Studenti, docenti, lavoratori del pubblico impiego che si sentono minacciati dalle politiche del governo. Dai tagli della spesa pubblica. Poi, i dipendenti privati. I lavoratori delle piccole e grandi imprese colpiti dalla crisi. I cassintegrati, gli occupati che temono la disoccupazione. I disoccupati e i licenziati. Costretti a forme di protesta clamorose, perché gli operai sono considerati una razza in via di estinzione. I disoccupati già estinti. Rischiano di sparire senza lasciare traccia. Per questo cercano di imporsi sui media con iniziative spettacolari, ad alto impatto emotivo. Si tratta di manifestazioni "difensive", come, d'altronde, quelle dei giovani e degli stessi studenti, oppressi da una condizione precaria e senza futuro.
b) D'altra parte, si assiste a una catena di proteste, piccole e grandi, contro il governo. La maggioranza, peraltro, oggi è tanto forte da rendere difficile fare opposizione "solo" in Parlamento. Affidandosi "solo" ai partiti. Per cui la protesta si è trasferita nelle città e nelle piazze. Dove si è diffusa la pratica dei "giorni dedicati alla contestazione". Gli X-Days. Come il Vaffa-day, promosso da Grillo, due anni fa, fino al No B-day, di sabato scorso. I giorni di mobilitazione si moltiplicano: sulla libertà d'informazione, sulla giustizia, per la difesa della Costituzione. Promossi da comitati più che da partiti e movimenti organizzati, attraverso appelli e sottoscrizioni lanciati sui giornali e, soprattutto, sulla rete. Questa mobilitazione - ampia e diffusa - si traduce in una miriade di iniziative localizzate e puntuali, che raramente -e solo alla fine- sfociano in grandi manifestazioni di massa. In fondo, anche la lunga stagione congressuale del Partito democratico riflette questo modello di partecipazione. Dalle innumerevoli assemblee di sezione fino alle primarie.
Questa tendenza si associa ad altre che caratterizzano il rapporto fra società, politica e istituzioni.
1. Una crescente sfiducia nella democrazia rappresentativa. Che oltre il 40% degli italiani considera inefficiente, deludente, a rischio di collasso.
2. La convinzione, sempre più ampia, che la democrazia non abbia bisogno di partiti. O forse che i partiti, così come sono, non servano. Come pensano oltre quattro italiani su dieci. Due persone su tre, invece, vorrebbero un capo del governo forte, "direttamente eletto dal popolo". Anche se oltre metà degli italiani ritiene utile rafforzare i poteri del Parlamento, per bilanciare i poteri del governo e del suo premier.
3. Una certa eclissi dell'orgoglio nazionale. Espressa, in modo convinto e aperto, da metà degli italiani: 12-13 punti percentuali in meno di quel che è stato rilevato dalle indagini negli ultimi quindici anni.
4. Mentre una persona su quattro ammette di provare vergogna di essere italiano: ma solo "qualche volta". Segno che le divisioni emerse negli ultimi anni, nella società e nella politica, stanno trasformandosi in solchi profondi.
5. La distanza fra la società, la politica e lo Stato, peraltro, è resa più ampia dal declino delle organizzazioni intermedie, che prosegue inarrestabile. Il sindacato, le associazioni degli imprenditori: perdono fiducia. Come gli enti locali. Perfino il consenso verso la Chiesa, istituzione etica di riferimento, è calato nell'ultimo anno.
In questo Paese stressato da una partecipazione difensiva e quasi compulsiva, da una politica personalizzata, da un sentimento nazionale dove l'orgoglio si mischia a tracce di vergogna, tuttavia, si colgono anche segni diversi. In fondo, la crescita della partecipazione e della stessa protesta, insieme all'ampiezza del volontariato, testimoniano che la società non è rassegnata. Non assiste passivamente all'impatto della crisi. Poi, in mezzo a tante divisioni, a tanta frammentazione, a tante paure, emerge una forte domanda di riferimenti comuni. Come rivela il valore dell' "unità nazionale", condiviso da gran parte dei cittadini. Ma anche l'ampia fiducia verso il Presidente della Repubblica. Mentre è significativa la crescita del riconoscimento attribuito dagli italiani alla "Costituzione", tra i motivi di orgoglio nazionale.
L'orizzonte dell'anno che si chiude, per questo, non appare del tutto chiuso.
CRISI, SFIDUCIA, PARTECIPAZIONE
[di Fabio Bordignon]

Il perdurare della crisi economica e l'acuirsi del conflitto politico-istituzionale sembrano avere ulteriormente ridisegnato, nel corso dell'ultimo anno, il rapporto tra gli italiani e lo Stato. Con una conseguenza particolarmente visibile: la crescita della partecipazione. Tutte le forme di attivismo prese in considerazione mostrano il segno "più", tra il 2008 e il 2009. Incluse quelle direttamente collegate alla politica.
Il numero di cittadini che dichiarano di aver preso parte, nei 12 mesi precedenti l'intervista, ad azioni politiche o manifestazioni di protesta è salito di oltre 5 punti percentuali. Complessivamente, oltre un quarto degli intervistati si dichiara attivo. La disarticolazione del dato per categoria socio-professionale aiuta a fornire una prima spiegazione dell'impennata registrata tra i due sondaggi. La percentuale più elevata si osserva, come in passato, tra gli studenti: del resto, il gradimento nei confronti della scuola pubblica è tornato a scendere (42%). Ciò nondimeno, la spinta partecipativa più vigorosa, sul fronte studentesco, si è registrata nel 2008 (mentre oggi assistiamo a un leggero arretramento). La crescita più rilevante riguarda, per contro, alcuni settori del lavoro subordinato: anzitutto i dipendenti pubblici (41%) e gli operai (32%). Gli ultimi mesi, non a caso, hanno visto le aziende diventare teatro di scioperi e azioni di protesta (anche clamorose). E la disoccupazione si conferma, presso l'opinione pubblica, come primo problema (dal 28 al 38%).
La mobilitazione, tuttavia, non discende esclusivamente dal disagio occupazionale. Scaturisce, al contempo, dalle tensioni che attraversano la politica, coinvolgendo le diverse istituzioni dello Stato. Così, se un anno fa avevamo interpretato la rinnovata propensione verso la sfera pubblica come ricerca di protezione, le persistenti turbolenze nel mondo economico e istituzionale sembrano oggi innescare dinamiche opposte. I soggetti più vicini alla sfera politica, come partiti (9%) e Parlamento (18%), rimangono su livelli bassissimi. Lo Stato (33%), nel suo complesso, scende di qualche punto, assieme alle istituzioni locali. Recupera terreno la Magistratura (forse proprio per le polemiche che l'hanno investita nell'ultima fase), sulla quale continua però a pesare una profonda frattura politica. Insomma, una ondata di sfiducia che investe tutti i diversi soggetti istituzionali. Con poche (e confermate) eccezioni: il Capo dello Stato (70%), garante e rappresentante dell'unità nazionale, assieme alle Forze dell'ordine (71%), garanzia di sicurezza.
PARTITI, DEMOCRAZIA, RIFORME
[di Natascia Porcellato]

Democrazia in crisi? Allora più autorità al premier e maggior potere di controllo del parlamento, mentre i partiti non sono più ritenuti fondamentali. Sembrano essere questi gli orientamenti dell'opinione pubblica rispetto al rapporto tra le istituzioni nella democrazia del futuro.
È cresciuta in modo considerevole la critica verso il funzionamento della democrazia in Italia. Rispetto al 2002, infatti, sono scesi di circa 9 punti percentuali quanti ritengono che la nostra democrazia, pur avendo molti limiti, nel complesso funzioni: attualmente questa opinione è condivisa dal 46% dei rispondenti. Una quota analoga -e cresciuta di circa 10 punti percentuali negli ultimi 7 anni- ritiene invece che il sistema italiano funzioni sempre peggio, tanto da rischiare il crollo.
Ad essere messi sotto accusa sono anche -soprattutto- i partiti: nell'ultimo anno, la quota di persone che ritiene impossibile la democrazia in loro assenza è scesa di 7 punti percentuali, attestandosi intorno al 46%, sotto la soglia della maggioranza assoluta. Coerentemente, sono cresciuti (+4) quanti ritengono che la democrazia possa funzionare senza partiti, arrivando a coinvolgere il 42% dei rispondenti. Tale orientamento è espresso soprattutto da quanti hanno meno di 35 anni: un giovane su due, infatti, ritiene possibile una democrazia senza partiti, mostrando distacco e una certa disillusione.
Una soluzione almeno parziale sembra risiedere nel ricorso a riforme che rafforzino la leadership del premier: l'elezione diretta e la legittimazione che ne deriverebbe sono considerate foriere di efficienza da quasi il 68% degli intervistati. Dal punto di vista politico, questa ipotesi raccoglie la maggioranza del favore tra gli elettori di tutti i partiti, pur ottenendo i consensi più ampi tra quanti simpatizzano per Pdl, Lega Nord o Udc.
Il ruolo del parlamento, tuttavia, non appare a rischio: secondo il 53% dei rispondenti, deputati e senatori dovrebbero avere più potere di controllo sulle scelte del governo. Tra quanti voterebbero per Pd, Idv e Udc il consenso arriva a superare il 60%, ma è interessante osservare come anche la maggioranza dell'elettorato del Pdl (55%) non intenda dare "carta bianca" al premier e chieda degli "argini parlamentari".
Combinando insieme i due indicatori, osserviamo che un italiano su tre sostiene, al contempo, l'elezione diretta del premier e il rafforzamento dei poteri di controllo del parlamento. L'apparente contrasto tra le due ipotesi richiama, in realtà, la necessità di bilanciare i poteri, la richiesta di quei pesi e contrappesi che mantengono i sistemi democratici.
L'ORGOGLIO NAZIONALE
[di Luigi Ceccarini]

A quasi 150 anni dall'Unità d'Italia, l'identità nazionale continua a mostrare dei chiaroscuri. Gli orientamenti corrono lungo fratture politiche e territoriali. Il dibattito sulla riforma dello Stato e sul federalismo, le tensioni secessioniste, spingono a ripensare l'idea di nazione. Alcuni punti appaiono però fermi. L'Unità d'Italia è vista favorevolmente dall'84% dei cittadini. E uno su quattro (24%) definisce questo passaggio storico-istituzionale "molto positivo". Tra gli elettori del centro-sinistra questa valutazione sale al 30%. E' intorno al 20% tra quelli di Pdl e Udc. Scende al 13% presso l'elettorato leghista. Sono soprattutto i residenti nelle regioni meridionali a considerare "molto positivo" il momento dell'unificazione. Un secondo punto fermo è rappresentato dall'orgoglio nazionale. Al di là dello stereotipo che dipinge gli italiani con un debole sentimento nazionale, la grande maggioranza (88%) si sente orgogliosa di essere italiana. In media con quanto si registra in altri paesi europei. Va però messo in evidenza come la quota di coloro che esprimono il massimo grado di orgoglio nazionale sia il più basso degli ultimi venti anni. Era il 63% nel 1991, oggi il 51%. E' un sentimento che sembra essere condizionato anche dagli orientamenti politici. E' più elevato tra gli elettori del Pdl (63%) ma anche tra quelli della Lega (52%): evidentemente riflette una sorta di identificazione tra nazione e governo. Più basso tra chi vota Pd (42%) o Idv (37%). Segno che le valutazioni sulla politica e sull'andamento del paese - per una parte degli elettori - si riflettono sull'orgoglio nazionale. L'identità italiana, tuttavia, continua ad essere alimentata, come in passato, da aspetti pre-politici. Anzitutto le bellezze del territorio o il patrimonio artistico culturale, la cucina e i prodotti tipici (circa 80%). Ma anche da elementi ad alto valore simbolico, come l'inno nazionale e il tricolore. Meno da specifiche esperienze storico-civili: il risorgimento, la resistenza (50%). Oppure dalle istituzioni fondamentali dello Stato, come la Costituzione: 43%. La quale, però, rispetto allo scorso anno, vede crescere il consenso tra i cittadini (+7 punti percentuali). Probabilmente il dibattito sulla riforma costituzionale ha spinto gli italiani a scoprirla e a valorizzarla ulteriormente. Infine, un ultimo punto: vergognarsi di essere italiani. Capita, a volte, al 26% degli intervistati. E' un sentimento che segna maggiormente i giovani, i cittadini di sinistra o di centro-sinistra. L'atteggiamento di vergogna sembra anche essere legato ad una maggiore partecipazione e a forme di protesta.
NOTA METODOLOGICA

Il rapporto annuale su Gli Italiani e lo Stato, diretto da Ilvo Diamanti, è giunto alla dodicesima edizione. L'indagine è stata realizzata da Demos & Pi (con la collaborazione del LaPoliS - Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell'Università di Urbino), su incarico del Gruppo L'Espresso. Essa è curata da Ilvo Diamanti, Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini e Natascia Porcellato.
La ricerca si basa su un sondaggio telefonico svolto, nel periodo 12-19 novembre 2009, da Demetra. Le interviste sono state condotte con il metodo CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing), con la supervisione di Giovanni Pace. I dati sono stati successivamente trattati e rielaborati in maniera del tutto anonima. Il campione, di 1300 persone, è rappresentativo della popolazione italiana di età superiore ai 15 anni, per genere, età e zona geopolitica.
Documento completo su www.agcom.it.
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