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RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO - 2017

Rapporto annuale sugli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle istituzioni e della politica, realizzato su incarico del Gruppo L'Espresso.
XX RAPPORTO GLI ITALIANI E LO STATO
[Ilvo Diamanti]

Il Paese che si avvia alle prossime elezioni si presenta, come in passato, scettico. Nei confronti delle istituzioni e della politica. Ma non rassegnato. Gli italiani: appaiono diffidenti. Verso gli altri e, in fondo, anche verso se stessi. Ma non rinunciano a credere nella possibilità di cambiare. Nel futuro. Anche se mostrano delusione nei confronti del passato. O, forse, proprio per questo. Perché sperano che il domani sarà migliore. E cercano di muoversi in questa direzione. Mi pare il segno tracciato dal Rapporto: Gli Italiani e lo Stato. Curato da Demos (per Repubblica) ormai da vent'anni.

Se non si trattasse di una formula politica utilizzata tradizionalmente con significato diverso, parlerei di una "sfiducia costruttiva". Che spinge gli italiani a osservare gli interlocutori pubblici intorno a loro con prudenza e, come ho già detto, con diverso grado di diffidenza. Molto alto per quel che riguarda i partiti, ma anche il Parlamento. Il luogo dove i partiti, meglio: i loro eletti, esercitano compiti e poteri di rappresentanza. Tuttavia, è basso anche il grado di fiducia di cui dispone lo Stato: meno del 20%. Pressoché come l'anno scorso. Ma 11 punti in meno di dieci anni fa. Solo l'Unione Europea mostra una perdita di credito più elevata: 18 punti in meno. E riscuote fiducia presso non più di 3 italiani su 10.

Appare, dunque, sempre più distante. Sempre più indifferente ai problemi e alle domande dei cittadini. Ma in Italia non sembrano esistere istituzioni "vicine" ai cittadini.

Gli stessi Comuni sono, infatti, osservati con crescente distacco. Resistono solo il Papa, meglio: Papa Francesco. E le Forze dell'ordine. Entrambi segnali della ricerca di sicurezza. E di "fede", principio (e radice semantica) della "fiducia".

Il XX Rapporto "Gli Italiani e lo Stato", curato da Demos, delinea così il profilo di "un Paese senza". Fiducia. Nelle istituzioni ma anche negli altri.

Un Paese di persone "sole". Un Paese senza politica. E lo sapevamo. E senza Stato. Come si continua a dire. Sperando che non sia vero. Non per caso Sabino Cassese, in un saggio di alcuni anni fa, ha definito "L'Italia: una società senza Stato".

D'altronde, anche l'orientamento verso i servizi alimenta il disincanto pubblico. Tanto che quasi metà dei cittadini (48%) considera, se non lecito, certamente giustificabile "evadere le tasse". Dal disamore pubblico e dal distacco verso le istituzioni emergono segnali inquietanti per la democrazia. Almeno: per la democrazia "rappresentativa". Oggi, quasi metà dei cittadini pensa che i partiti non servano. Che la democrazia possa farne a meno. Perché i partiti e i politici sono corrotti. Quanto e anche più che ai tempi di "Tangentopoli". E se una larga maggioranza di italiani (62%) crede ancora che la democrazia sia preferibile a ogni altra forma di governo, si tratta comunque di una componente in calo costante. Rispetto a dieci anni fa: 10 punti in meno. Così non sorprende, ma preoccupa anche di più, che quasi 2 italiani su 3 ritengano che oggi il Paese dovrebbe essere guidato da un "uomo forte". Un sentimento comprensibile, vista la sfiducia verso le istituzioni pubbliche e verso i soggetti politici. Eppure, a maggior ragione, inquietante. Tanto più se ci voltiamo indietro. A ripercorrere la nostra storia. A riflettere sul nostro passato.

Tuttavia, questo "Paese senza" non ha perduto la speranza.

Non solo perché torna a guardare con un certo ottimismo al futuro prossimo, visto che quasi 4 italiani su 10 pensano che l'anno appena cominciato sarà migliore di quello appena finito. E solo il 16% lo immagina peggiore. Ma soprattutto perché questo "Paese senza" istituzioni, questa "società senza Stato": sembra in grado di reagire alla delusione. Alla sfiducia. Non ha rinunciato all'idea che sia possibile cambiare. Non ha rinunciato all'impegno. E manifesta, dunque, una partecipazione elevata, rispetto agli ultimi anni. Condotta non solo per via digitale, ma anche, ancor più, sociale e politica.

Non per caso anche gli indici di fiducia nelle associazioni sindacali e di categoria riprendono a crescere, dopo alcuni anni. Perché la partecipazione genera fiducia.

Nei confronti delle istituzioni, ma anche "verso gli altri". In entrambi i casi, i livelli di "confidenza", cioè: di "fiducia", crescono sensibilmente fra coloro che mostrano indici di partecipazione più elevati.

Perché l'impegno, la stessa protesta, sono esperienze che facciamo "insieme agli altri".

Con gli altri. Soprattutto quando si svolgono nella società, nelle città, nei luoghi pubblici. Senza limitarsi a frequentare la rete. Dove siamo sempre in contatto con gli altri.

Ma da soli. Noi davanti al nostro tablet, al nostro pc, al nostro smartphone.

Così mi rassicura il fatto che, in questo XX Rapporto "Gli Italiani e lo Stato", gli indici di partecipazione sociale tendano ad aumentare sensibilmente fra i più giovani. Nonostante esprimano scarsa soddisfazione verso il sistema pubblico e verso lo Stato. Non per caso Umberto Galimberti (in un libro appena pubblicato da Feltrinelli) ha parlato di "generazione del nichilismo attivo". Perché è delusa, ma non rassegnata. Significa che c'è motivo di credere. Che questa "società senza Stato" non abbia perduto la speranza. Nel futuro. E in se stessa.

DISINCANTO PUBBLICO E FIDUCIA NEL FUTURO
Luigi Ceccarini e Martina Di Pierdomenico

Fiducia nelle istituzioni e partecipazione rappresentano aspetti importanti del rapporto tra i cittadini e lo stato. L'indagine Demos per Repubblica riporta un quadro senza particolari cambiamenti rispetto allo scorso anno. La graduatoria del consenso sociale nelle figure e nelle organizzazioni pubbliche riporta all'apice, come in passato, la personalità di Papa Francesco (77%) e poi le Forze dell'Ordine (70%), verso cui la grande maggioranza degli italiani orienta la propria fiducia. Segue la scuola che sa attrarre il consenso del 53% dei cittadini. In fondo si collocano le istituzioni della mediazione e della rappresentanza politica: i partiti (5%) e il Parlamento (11%). Poi le banche (15%) e lo Stato (19%).

In via generale le istituzioni perdono leggermente il supporto dei cittadini. In crescita solo i sindacati confederali tra +6 e +8 punti percentuali. Segno, probabilmente, che la problematica del lavoro e della sua protezione è ancora al centro delle prospettive e delle preoccupazioni degli italiani. A metà classifica si collocano i Comuni, ovvero l'organizzazione dello stato più vicina al cittadino: solo un rispondente su tre (33%) vi ripone fiducia nei suoi confronti. In calo di 6 punti rispetto allo scorso anno. L'UE, sotto tiro nella retorica populista, resta di fatto stabile (30%, +1) e comunque ben lontana dal 48% di dieci anni fa.

Se si considera l'indice complessivo di fiducia nelle istituzioni politiche e di governo, il dato resta stabile al 25% come negli ultimi tre anni. Ma al di là della fiducia istituzionale quello che colpisce è la continua perdita di fiducia interpersonale tra gli italiani. Nel 2014 il 39% affermava che "Gran parte della gente è degna di fiducia". Questo orientamento è andato a ridursi nel tempo fino al 28% del 2017. Sul fronte della partecipazione politica e sociale si osservano oscillazioni limitate rispetto alle scorse edizioni. Stabili le azioni politiche di tipo tradizionale (52%). In leggera ripresa la partecipazione sociale (62%). Lieve flessione delle "nuove" forme di partecipazione (55%), che continuano comunque a coinvolgere oltre la metà degli italiani. Oltre quattro casi su dieci praticano il consumo critico, mentre il 25% ha boicottato prodotti per ragioni etiche o politiche. La Rete, ormai, si conferma un luogo rilevante di discussione politica tra i cittadini (24%). E la protesta sembra trovare uno sbocco in formule di mobilitazione anche via Internet. Se il 31% degli italiani, come lo scorso anno, afferma di avere firmato petizioni, il 21% lo ha fatto anche attraverso firme online, in leggera crescita rispetto al 2016 (+3%).

Dunque, i cittadini mostrano un profilo critico ed esigente nei confronti degli attori della politica. Rivendicano le loro domande attraverso formule flessibili di partecipazione. Mostrano un certo disincanto verso la dimensione pubblica. Tuttavia, riescono a guardare il futuro con maggiore fiducia (36%: +11) rispetto allo scorso anno.






TRA PUBBLICO E PRIVATO
Ludovico Gardani e Natascia Porcellato

Tra pubblico e privato resiste l'insoddisfazione degli italiani. Nonostante gli indicatori mostrino una ripresa (più o meno marcata) rispetto a quanto rilevato nel 2016, per (quasi tutti) i servizi testati il gradimento non supera la soglia della maggioranza assoluta. La scuola pubblica raccoglie il 45% dei giudizi positivi (+5 punti percentuali rispetto alla rilevazione precedente), mentre quella privata appare più in difficoltà (36%). In tema di sanità, però, è quella privata (56%) a superare il servizio pubblico (41%) nel favore degli italiani. Trasporti urbani e ferrovie, invece, raccolgono rispettivamente il 30 e 33% del gradimento e sono entrambi in crescita (+4 e +5 punti percentuali rispetto al 2016). Gli indici sintetici di soddisfazione dei servizi si fermano a 43 per i pubblici e a 46 per quelli privati: rispetto allo scorso anno, l'apprezzamento per il pubblico cresce (+4), mentre il privato resta stabile.

Le critiche rivolte al pubblico non sembrano tradursi in una netta richiesta di "più privato": è il 21% a reclamare una riduzione del peso dello Stato nella sanità, mentre il 16% vorrebbe una minore presenza pubblica in tema di istruzione. L'indice che misura complessivamente la propensione al privato segna quota 27: il valore, pur superiore a quanto registrato l'anno scorso (+3), non raggiunge quello osservato nel 2014 (29).

Sono ancora validi i binomi pubblico-sinistra, privato- destra? Sembra di sì: tendono ad essere più soddisfatti dei servizi pubblici quanti si collocano politicamente a sinistra (47%) o nel centrosinistra (52%), mentre chi è di centro (52%), centrodestra (48%) o destra (56%) predilige quelli privati. Non stupisce, quindi, che l'indice di propensione al privato cresca proprio tra gli elettori di quest'area: chi è di centro (37), centrodestra (44) o destra (40) chiede più privato per sanità o scuola, mentre tra quanti si dichiarano di sinistra (17) o centrosinistra (19) l'orientamento si riduce notevolmente.

Uno dei fattori che contribuisce a incrinare la fiducia verso il pubblico è la corruzione. Rispetto all'epoca di Tangentopoli, l'idea che oggi questo comportamento sia meno diffuso appartiene solo al 9% degli intervistati, mentre il 47% giudica il fenomeno immutato. Il 41%, però, ritiene che la corruzione sia cresciuta.

Tra pubblico e privato, infine, si collocano anche le tasse e la tentazione di evaderle: il 48% ritiene questo comportamento giustificabile, il 48% invece non lo considera ammissibile.








TRA DEMOCRAZIA DEL LEADER E DEMOCRAZIA REFERENDARIA
Fabio Bordignon e Alice Securo

La democrazia può vivere senza partiti, secondo un italiano su due. Ma la democrazia può vivere senza se stessa? Ad essere messo in discussione è infatti lo stesso principio sul quale si regge la democrazia "dei moderni": la rappresentanza politica. Il rapporto annuale su Gli italiani e lo Stato conferma il diffuso "rigetto" dei corpi intermedi, e il fascino esercitato dalle diverse forme di direttismo: la propensione ad affidarsi agli "uomini forti", oppure ad assegnare ai cittadini il ruolo di decisori.

La democrazia continua ad essere valutata, da oltre sei persone su dieci, come preferibile a qualsiasi altra forma di regime politico (62%). Ma, mai come quest'anno, l'indagine realizzata da Demos registra l'estensione delle aperture a soluzioni autoritarie (17%), e soprattutto degli atteggiamenti di indifferenza (21%). Tuttavia, anche tra chi non vede alternative alla democrazia, sono diffusi sentimenti di insoddisfazione per il suo funzionamento e suoi attori. Vale soprattutto per i partiti, il cui livello di fiducia è prossimo allo zero. Non solo, un intervistato su due pensa che sia possibile fare a meno dei partiti: che la democrazia possa funzionare senza di essi. Una convinzione fatta propria soprattutto dai giovani, in particolare fra i 25 e i 44 anni d'età.

In modo coerente con la crisi della rappresentanza, i "correttivi" al funzionamento della democrazia, nelle valutazioni dei cittadini, sembrano passare soprattutto attraverso la "rimozione dei mediatori" (tradizionali). O quantomeno attraverso la ricerca di un rapporto "immediato" con la dimensione politica. Circa due persone su tre ritengono che la distanza tra politica e cittadini possa essere ridotta grazie al rapporto diretto tra il leader e il popolo: pensano che il Paese in questo momento abbia bisogno di essere guidato da un "uomo forte" (65%). Una analoga componente (68%) vede invece con favore un rinnovamento dal basso della politica: per questo, ritiene "sempre" preferibile che ad esprimersi sulle questioni politiche siano direttamente i cittadini, attraverso i referendum. La democrazia del leader è vista con favore soprattutto a destra e tra le persone con un livello più basso di istruzione. La democrazia referendaria, per converso, raccoglie consensi sopra la media tra giovani e adulti, tra le persone "in rete", tra gli elettori del M5s. Nonostante gli elementi di reciproca "tensione", va sottolineato come una componente elevata di intervistati non veda i due percorsi come alternativi, ma faccia coesistere, nella sua idea di democrazia, la centralità del leader e del popolo.








NOTA INFORMATIVA

Il Rapporto su Gli Italiani e lo Stato, giunto alla XX edizione, è realizzato da Demos & Pi per La Repubblica. La rilevazione è stata condotta da Demetra con metodo MIXED MODE (Cati - Cami - Cawi).
Periodo 04 - 12 dicembre 2017. Il campione (N=1211, rifiuti/sostituzioni/inviti: 11.759) è rappresentativo della popolazione italiana con 15 anni e oltre, per genere, età, titolo di studio e area, ed è stato ponderato in base alle variabili socio-demografiche (margine di errore 2.8%).
L'indagine è stata diretta, in tutte le sue fasi, da Ilvo Diamanti. Luigi Ceccarini, Fabio Bordignon, Martina Di Pierdomenico, Ludovico Gardani e Alice Securo hanno curato la parte metodologica, organizzativa e l'analisi dei dati.
I dati sono arrotondati all'unità e questo può portare ad avere un totale diverso da 100.

Documentazione completa su www.agcom.it


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